domenica 16 ottobre 2011

Amanda ovvero della bilancia difettosa

 
Ora che i clamori della cronaca sembrano essersi placati sull'assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito per l'assassinio di Meredith Kercher, può essere il momento migliore per alcune serene meditazioni. Diversi amici hanno sollecitato la mia opinione sul caso. Questo è abbastanza normale, anche senza alcuna pretesa di passare per sommi esperti. Se si parla di navi, si chiedono opinioni a un marinaio, se si parla di pomodori, si chiede a un contadino e se si parla di processi si chiede a un avvocato.
Personalmente seguo una semplice regola nel trattare questi argomenti, che è quella di non dare opinioni su casi di cui non abbia una conoscenza diretta o perché ho avuto la possibilità di vedere il fascicolo o, quanto meno, perché ho potuto assistere alle udienze.
Mi permetto quindi di dire subito all'affezionato lettore dei miei sproloqui che, se legge queste mie parole con l'idea di trovare il cavillo che gli farà capire tutto, temo che resterà deluso. Se posso usare un'espressione cara al mio vecchio caro professor Di Porto, provo un “fastidio epidermico” nei confronti del gossip e, per reazione, evito tutte le trasmissioni televisive che pretendono di raccontare, con plastici e con la riunione di sedicenti esperti che si parlano addosso, quello che sostanzialmente nessuno conosce su precisi accadimenti storici.
Le poche cose che conosco sul caso sono quelle che avevo precedentemente orecchiato – mio malgrado – sui notiziari radiotelevisivi. Le ho unicamente integrate con le informazioni fornite da Wikipedia, sia nell'edizione italiana (alquanto colpevolista e lo ammettono anche i redattori) che nell'edizione inglese (decisamente più innocentista), che ho ritenuto di dover consultare per pura prudenza e per un minimo di rigore nella valutazione degli elementi di base della vicenda.
Fatta questa premessa, l'unico scontato commento sul merito del caso che mi viene da fare è che la confusione regna sovrana. Se metà delle cose che ho letto sinora, sul modo in cui la vicenda è stata portata avanti dagli organi investigativi fosse vera, il caso Kercher sembrerebbe un terribile prototipo di quel modo fantasioso tipicamente italiano nel fare le cose, che non ci impedisce di fare ottimi vestiti e splendide scarpe, nonché di cucinare i piatti più buoni del mondo, ma che non è certamente da raccomandare quando la posta in gioco è la pelle delle persone.
Per il resto, lascerò completamente da parte ogni problema di merito, sul fatto che Amanda Knox e Raffaele Sollecito siano colpevoli o innocenti, per offrire qualche pensiero sull'andamento del processo, che mi sembra anche più importante per noi, di quanto non lo sia il singolo caso.

Vediamo un attimo le cose: per l'assassinio di Meredith Kercher vengono incriminate tre persone. Un cittadino italiano, Raffaele Sollecito, un cittadino ivoriano ergo un africano nero Rudy Guede e una cittadina degli Stati Uniti d'America, Amanda Knox. Due bianchi e un nero. Sembra l'incipit di una di quelle orribili barzellette a sfondo razziale, che sentivo da ragazzo nello spogliatoio della palestra scolastica.
Le accuse sono pesantissime per tutti loro e il pubblico ministero costruisce un impianto accusatorio da far spavento: orge, giochi erotici mortali, violenze sessuali. Tutti e tre sono condannati. Il cittadino ivoriano chiede il giudizio abbreviato, formula che gli garantisce uno sconto di pena, ma ne limita fortemente le possibilità difensive e viene condannato sia in primo grado che in appello. 

Gli altri due vengono assolti in appello, dopo una mobilitazione di tutti gli Stati Uniti, compresa il Segretario di Stato Hillary Clinton che non lesina parole in proposito. Per non parlare di quei pubblici personaggi americani, quali il multimilionario Donald Trump, che propongono persino il boicottaggio dei prodotti italiani, da parte degli americani per ritorsione.
Sullo sciovinismo americano si potrebbe parlare a lungo, se volessimo, ma non rientra nei limiti di questo blog trattare questo tipo di argomenti. Con gli americani in genere ci vado molto d'accordo, anche perché li rispetto, li prendo per come sono fatti e non ho la pretesa che si conformino al mio modo europeo di vedere le cose. “I bulgari sono bulgari”, diceva Trapattoni in una sua esternazione e io dico che gli americani sono americani. Se li conosci, nel bene e nel male sai quello che puoi aspettarti da loro e la loro reazione nel caso Kercher era esattamente quello che ci si poteva aspettare. 

Il problema da affrontare invece, che ci interessa molto di più, è capire se e in che misura la pressione fatta dagli Stati Uniti sull'Italia abbia realmente influenzato l'esito del processo. Ci interessa non solo ai fini della comprensione di questo singolo caso, che si avvia lentamente quanto inesorabilmente al dimenticatoio, ma soprattutto come paradigma del reale funzionamento della giustizia in questo paese.
Una corte d'assise d'appello è composta da due giudici togati (ovvero due giudici vincitori di concorso e con un contratto di lavoro a tempo indeterminato) e sei giudici popolari, i cui unici requisiti di legge per diventare tali sono che abbiano un'età dai 30 ai 65 anni, la cittadinanza italiana, il diploma di scuola media superiore e la fedina penale pulita. Questi giudici popolari non si riuniscono da soli, come accade in America e si vede comunemente nei film, per decidere sulla colpevolezza o innocenza di qualcuno, ma si riuniscono assieme ai giudici togati. Devo dire che sono alquanto scettico sulle reali possibilità di questi giudici popolari di influenzare concretamente l'esito della decisione, a dispetto del fatto che sono in maggioranza nella corte. Esiste una sostanziale moral suasion da parte dei giudici togati nei loro confronti che nasce dal fatto che – sul piano del livello culturale – si tratta di sei persone della misura del giovane Davide contro due Golia del diritto. Se i giudici togati hanno una precisa idea in testa e questa idea ha un minimo di coerenza, la possibilità che la sentenza sia diversa da quello che vogliono il presidente e il giudice a latere insieme è veramente remota.
Sarebbe interessante esplorare che succede se presidente e giudice a latere la pensano in modo opposto e qui nascerebbe un certo spazio per il dibattito, alla ricerca di una maggioranza con i giudici popolari. Invece che vi possa essere una sentenza dettata dalla volontà dei giudici popolari, che fa valere il proprio voto maggioritario nella corte, a dispetto di un'opinione radicata e opposta del presidente e del giudice a latere insieme, mi sembra un'eventualità più letteraria che concreta.
Tutto questo per dire che, in sostanza, chi ha deciso l'assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito è stato essenzialmente il presidente, al massimo con il contributo del giudice a latere. È qui che potremmo ipotizzare sia giunta e abbia fatto capo qualsiasi possibile influenza esterna.
Di quale influenza parliamo? Certamente non si può pensare a un'influenza diretta del governo, che sulla magistratura non ha praticamente alcun potere. In Italia non è seriamente ipotizzabile che il Ministro della Giustizia o altro componente del governo o chi per loro contatti il presidente della corte e gli dica quello che deve fare e di questo non potremo mai essere abbastanza grati a coloro che hanno scritto la Costituzione Italiana.
Non riesco neanche a credere che un'influenza diretta arrivi da alti esponenti della magistratura. Non ne vedo il bisogno e neanche capisco per quali meccanismi potrebbe succedere una cosa del genere. Naturalmente nella vita non si può escludere nulla, ma sinceramente non riesco proprio a immaginarmi qualcuno del CSM che dica al presidente della corte di trattare bene la Knox.
Dobbiamo quindi presumere che tutto il movimento negli Stati Uniti in favore di Amanda Knox sia stato irrilevante perché le cose sono andate come dovevano andare? È questo il punto cruciale. Io temo infatti che non sia proprio così. Penso che le proteste degli americani abbiano raggiunto un risultato, anche se in modo diverso da quello che taluni immaginano.
Per capire il senso di quello che voglio dire dobbiamo tornare all'annoso problema dei rapporti tra giudice, pubblico ministero e difesa nel processo penale.
È un rapporto purtroppo squilibrato in modo sfavorevole alla difesa, in quanto il rapporto processuale (giudice, accusa, difesa) si forma fra tre soggetti di cui due sono tra di loro in un rapporto di colleganza e certamente di molto maggiore familiarità che con il terzo.
L'avvocato si trova in una condizione in cui ha un rapporto di sostanziale soggezione verso il giudice, al quale si rivolge in modo deferente, sia per senso dello stato che perché i rapporti vengono mantenuti in una situazione di estrema lontananza dallo stesso giudice. Dall'altra parte il pubblico ministero è già un miracolo se dà del lei al giudice in udienza e di solito gli si rivolge con l'atteggiamento del collega che si sente in tutto e per tutto alla pari con lui.
Piaccia o non piaccia, questa è la situazione. Ed è una situazione che determina uno squilibrio in favore dell'accusa e contrario alla difesa. Questo squilibrio, qualunque principio possa essere indicato sui testi di legge, fa sì che vi sia una sostanziale presunzione di colpevolezza dell'imputato.

Infatti davanti al giudice l'imputato viene portato dal suo collega pubblico ministero, con cui i rapporti sono di colleganza, se non sempre di amicizia. Ogni volta che un giudice assolve un imputato anziché condannarlo, sta dicendo di no all'iniziativa del suo collega. Ovviamente se è evidente che deve assolvere lo farà; ma ogni volta che lo fa, è un piccolo vulnus nel suo rapporto con il collega e quindi il giudice assolve solo se è sicuro di dover per forza assolvere. Al contrario qualsiasi decisione prenda il giudice che scontenti l'avvocato della difesa non determina in lui alcun problema. Gli avvocati sono un genus inferiore. Si ha a che fare con loro per necessità ma non sono dei colleghi. Non li si può trattare troppo male, perché se protestano come categoria possono dare qualche fastidio, ma il singolo avvocato conta molto poco per il giudice, rispetto al collega del pubblico ministero.
Insomma, se la giustizia è una bilancia, stiamo pur tranquilli che la parte in cui si trova l'accusa è nettamente più pesante di quella della difesa dal punto di vista del giudice.
Che c'entra con tutto questo Amanda Knox? È presto detto. Sinché le cose rimangono all'interno delle aule di giustizia e poco oltre, i pesi della bilancia rimangono inalterati nei termini che ho descritto. Ma nel momento in cui di un certo processo si parla e la cosa viene risaputa, il giudice – forse senza neppure accorgersene – si trova a modificare il proprio comportamento. Non che le sue opinioni cambino di molto, ma più semplicemente si trova a fare più attenzione, a valutare le cose con maggiore cura, perché non ha più un solo condizionamento davanti ovvero quello del rapporto di colleganza col pubblico ministero, ma ne ha almeno due: da un lato il pubblico ministero e dall'altro l'opinione pubblica. Se a questo si aggiunge anche l'esistenza di precise proteste da parte di uno stato straniero (figuriamoci poi gli Stati Uniti!) abbiamo che i pesi risultano pienamente equilibrati e il giudice valuta le cose dando tutta l'importanza necessaria e opportuna sia all'accusa che alla difesa, come dovrebbe essere.

A questo punto occorre anche dire, tuttavia, che questo problema del rapporto di eccessiva vicinanza tra accusa e giudice nel processo penale è l'effetto collaterale indesiderabile del modo italiano di raggiungere il risultato dell'indipendenza della magistratura.
Ci sono paesi in cui la magistratura nel suo insieme è veramente sotto il controllo del governo e in tali paesi veramente un ministro della giustizia può alzare il telefono e chiamare il giudice per dargli disposizioni. Era così del resto anche sotto l'Italia fascista e la Germania nazista ed è proprio per evitare gli errori e gli abusi di quei tristi tempi che si è cercato un modo di evitare che la magistratura dovesse prendere ordini dal capetto di turno.
Si è quindi creato un organo di autogoverno della magistratura, cosiddetto CSM o Consiglio Superiore della Magistratura, che è per un terzo nominato dagli stessi magistrati e comunque rimane indipendente rispetto al governo. È un sistema che sinora ha retto sotto molti punti di vista. Le cose in Italia non sono mai andate molto bene, ma con un sistema diverso da questo sarebbero andate pure peggio.
Occorre quindi, a mio parere, evitare di buttare via il bambino assieme all'acqua sporca, facendo cose folli come tornare al controllo della magistratura da parte del governo.
Si parla anche di separazione delle carriere dei magistrati creando due CSM distinti, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri e indicendo concorsi differenti per diventare giudice o pubblico ministero.
Devo ammettere di essere alquanto scettico su queste soluzioni. A me sembrano solo dei palliativi e mi riprometto di parlare più diffusamente in seguito di altre possibili soluzioni.
Non posso che dedicare il mio ultimo pensiero a Rudy Guede, l'africano nero che si è preso sedici anni con sentenza definitiva. Sarà stato colpevole o innocente? Non lo so, ma so solo che nessuna pubblica opinione ha minacciato boicottaggi nel caso il suo caso non fosse trattato con attenzione e mi chiedo come sarebbe andata se fosse stato un cittadino americano pure lui.


venerdì 9 settembre 2011

La magistratura spiegata a mio figlio

Mio figlio aveva un viso assorto come non l'avevo mai visto. Sembrava preso da pensieri fin troppo profondi per un giovane della sua età. Da padre attento, mi rendevo conto che era giunto un momento importante della vita del mio ragazzo. Un momento in cui dovevo farmi carico di insegnargli alcuni fatti importanti della vita e farlo in un linguaggio che lui potesse capire.
Così ci fu tra noi il seguente dialogo, che ho cercato di rendere nel modo più fedele possibile affinché possa eventualmente servire a qualche altro padre e a qualche altro figlio.
Padre: Come va figliolo?
Figlio: Benissimo papà!
Mai che uno ti risponda che sta crepando, quando glielo chiedi! Tutti dicono di stare bene, con la sola eccezione degli ipocondriaci che ti raccontano tutte le loro malattie in dettaglio.
Padre: Sei proprio sicuro, figliolo? A me sembra che ci sia qualcosa che ti turba!
A quel punto mio figlio sembrava combattuto, come se una parte di lui volesse confidarsi e l'altra no. Rimase così per alcuni secondi, poi trovò il coraggio di parlare.
Figlio: Sai, papà, ieri la professoressa di storia e geografia ci ha portati al palazzo di giustizia.
Padre: Bene, figliolo! Mi sembra una gran bella idea. Ma ti vedo poco entusiasta. Hai visto qualche cosa che ti ha turbato?
Figlio: (Con tono molto serio e guardando il padre negli occhi) Papà, dimmi una cosa...
Padre: (Rassicurante) Dimmi, figliolo... dimmi! Quello che vuoi! (Pausa) Basta che non mi chieda soldi.
Figlio: (Come sopra) Papà, dimmi... (Trova il coraggio) Da dove vengono i magistrati? (Tono severo) E non venirmi a dire che sono troppo piccolo per sapere queste cose, come hai fatto altre volte!
Padre: (Rassicurante) Ma no, figliolo! Quello lo dicevo anni fa, quando mi chiedevi per chi avessi votato! Ora è diverso! Sei più grande ed è giusto che tu conosca i fatti della vita, anche quelli di cui è più difficile parlare.
Figlio: (Serissimo) Papà, allora dimmelo!
Silenzio.
Padre: (Cercando di trovare le parole) Vedi, figliolo... non è facile da spiegare... Diciamo intanto che quando si parla di magistrati si parla di due categorie di persone diverse tra loro.
Figlio: Come i maschi e le femmine?
Padre: Non così tanto, figliolo, anche perché in queste categorie ci sono sia maschi che femmine. Diciamo che i magistrati si possono dividere in giudici e pubblici ministeri. I giudici sono quelli che al palazzo di giustizia hai visto in aula seduti al centro e che dirigevano i processi. Sono quelli che alla fine devono decidere chi ha ragione e chi ha torto oppure se qualcuno deve essere o no punito.
Figlio: (Assapora le parole meditando) “Chi ha ragione e chi ha torto?” Come a Forum?
Padre: (Trasalisce) Ti prego, figlio mio! Lo sai che non devi mai citare in mia presenza quella trasmissione! Abbi pietà del mio stomaco!
Figlio: Scusa papà! Mi ero dimenticato!
Padre: Tornando alle cose serie, figliolo, devo dirti che i processi possono essere di vario genere, ma nella maggior parte dei casi sono processi civili o processi penali. Nei processi civili i giudici di solito devono giudicare tra persone che discutono e stabilire chi ha ragione.
Figlio: Come quelli che bisticciano al bar se è più forte l'Inter o la Juventus?
Padre: Non proprio, figliolo. Quelli al bar bisticciano per le loro opinioni o perché fanno il tifo a una squadra o all'altra, ma in realtà non hanno nessun vero interesse personale. Discutono per passare il tempo. Quelli che vanno davanti a un giudice civile bisticciano perché uno dice che l'altro gli deve soldi o perché uno dice che l'altro gli ha venduto un oggetto che non funziona o perché afferma che il testamento con cui lo zio ha lasciato tutto al cugino anziché a lui è falso come Giuda o cose del genere. Insomma, in questi processi civili, ci sono due o più parti private di cui una vuole qualcosa dall'altro che l'altro non vuole dare o tutte e due vogliono qualcosa l'uno dall'altro e non riescono a mettersi d'accordo. Così il giudice deve decidere chi ha ragione.
Figlio: Allora è come dicevo io! È come a ... ?
Padre: (Precedendolo) Di nuovo?
Figlio: (Mettendosi la mano sulla bocca) Oh... scusa ancora papà!
Padre: (Ancora turbato) Vabbé... lasciamo perdere... Insomma, questi che ti dicevo in cui ci sono due parti che vogliono qualcosa l'una dall'altra (ma le parti possono essere anche più di due) si chiamano processi civili. Poi ci sono quelli penali. Nei processi penali il giudice deve decidere se una persona ha commesso un reato, cioè se ha commesso un'azione che la legge punisce.
Figlio: Se deve andare in prigione?
Padre: Eventualmente sì, ma non tutti i reati prevedono come pena che una persona vada in prigione. In alcuni casi può essere condannata solo a pagare una somma di danaro. Non tutte le cose sono gravi allo stesso modo.
Figlio: Beh, certo!
Padre: È nei processi penali soprattutto che incontriamo l'altro genere di magistrati che ti dicevo, cioè i pubblici ministeri. Allora abbiamo visto che i giudici giudicano...
Figlio: … e i pubblici ministeri ministrano?
Padre: (Disgustato) Figliolo, ti consiglio di non mettere così a dura prova la mia pazienza! No. I pubblici ministeri non “ministrano” niente. Il pubblico ministero è quel magistrato che, nei processi penali, rappresenta l'accusa contro la persona che viene processata. È quello che cerca di convincere il giudice che deve condannare l'imputato.
Figlio: Allora il pubblico ministero c'è solo nei processi penali?
Padre: Di solito sì, ma in certi casi il pubblico ministero c'è anche nei processi civili.
Figlio: E che ci va a fare? Mi hai detto che nei processi civili si parla delle questioni di singole persone e non si condanna nessuno ad andare in prigione o che...
Padre: È vero, ma ci possono essere processi civili che hanno a che fare con cose particolarmente delicate o importanti, come ad esempio decidere a quale dei genitori che si separano devono essere affidati i figli o se una persona che non c'è più con la testa deve essere rappresentata da un altro nel prendere certe decisioni importanti, per evitare che si cacci nei guai o altre cose del genere. In questi casi anche nel processo civile ci deve essere il pubblico ministero.
Figlio: E va bene, papà. Allora mi hai detto che i magistrati sono detti giudici o pubblici ministeri. Ma i pubblici ministeri non erano anche loro giudici?
Padre: No figliolo! I giudici, come ti ho spiegato, sono una cosa e i pubblici ministeri sono un'altra.
Figlio: Ma Falcone e Borsellino che cos'erano? Giudici o pubblici ministeri?
Padre: Erano tutti e due pubblici ministeri, figliolo.
Figlio: E perché ho sentito uno alla televisione parlare del “giudice Falcone” e del “giudice Borsellino”?
Padre: Perché è un asino, figliolo!
Figlio: Ah, beh...
Padre: Comunque, adesso hai capito che i magistrati si dividono in giudici e pubblici ministeri.
Figlio: Sì papà, ma ancora non mi hai detto da dove vengono i magistrati!
Padre: È vero, ma non potevo dirti da dove vengono i magistrati, se prima tu non capivi la differenza tra un tipo di magistrato e l'altro. (Solenne) Ora figlio mio ti dirò come nascono i magistrati.
Figlio: Ecco, sì papà! Dimmi!
Padre: Vedi figliolo, ricordi tuo cugino Barore? Ricordi che si è laureato in giurisprudenza?
Figlio: E come potrei dimenticarlo? Non ha parlato d'altro per un mese!
Padre: Anche per due figliolo, se è per questo! Ecco prendi qualche migliaio di persone come tuo cugino...
Figlio: Cretini come lui?
Padre: Non credo. Come tuo cugino non ce ne sono tanti! Diciamo qualche migliaio di persone di tutti i livelli di intelligenza, ma laureate in giurisprudenza. Prendi queste persone e falle partecipare a un concorso!
 Figlio: Concorso a punti?
Padre: Beh, sì, in un certo senso...
Figlio: Come il totocalcio?
Padre: Beh, non proprio?
Figlio: Devono indovinare qualcosa?
Padre: Devono indovinare un sacco di cose! Fanno tre compiti difficilissimi su materie diverse che riguardano il diritto cioè la scienza della legge. Quelli che prendono la sufficienza vengono richiamati vari mesi dopo e interrogati su una decina di materie diverse per circa un'ora.
Figlio: Allora sanno un sacco di cose!
Padre: Sulle leggi sì.
Figlio: E poi cosa succede?
Padre: Di queste persone viene fatta una graduatoria e quelli che hanno i voti migliori vincono il concorso e diventano magistrati.
Figlio: (Meditando) Ma diventano giudici o pubblici ministeri?
Padre: All'inizio nessuno dei due. Diventano uditori giudiziari, che sono magistrati all'inizio della carriera che vengono addestrati dai magistrati più anziani per un anno e mezzo o due in modo da imparare a fare il loro lavoro. Solo dopo questo addestramento vengono nominati a svolgere mansioni di giudice o pubblico ministero.
Figlio: E quindi uno giudica le persone e uno le accusa.
Padre: Sì, figliolo. Però non dimentichiamoci che l'imputato, la persona che è accusata di aver violato la legge, ha anche un avvocato difensore. Questo avvocato ha il compito di difendere l'imputato dalle accuse del pubblico ministero e dimostrare la sua innocenza. Quindi, riassumendo, il pubblico ministero accusa, l'avvocato difende e il giudice decide e giudica.
Figlio: E come fa il giudice a capire come deve giudicare?
Padre: Sia il pubblico ministero che l'avvocato dell'imputato presentano le loro prove per dimostrare che l'imputato è colpevole o che è innocente. Queste prove possono essere le testimonianze di persone che sono informate su quello che è successo o che hanno visto come si sono svolti i fatti, oppure documenti o ancora opinioni di esperti sui fatti del processo. Prima si ascoltano le testimonianze chieste dal pubblico ministero, poi quelle chieste dalla difesa e poi si fa la discussione finale.

Figlio: E che cosa discutono?
Padre: Si chiama discussione ma non è proprio una discussione come quella delle persone che discutono al bar. In effetti è una serie di discorsi. Prima parla il pubblico ministero e fa un discorso che si chiama requisitoria in cui riassume quello che è riuscito a dimostrare tramite i testimoni suoi e i documenti che sono stati presentati, eventualmente dice qualcosa in merito a quello che risulta dalle testimonianze della difesa e finisce con una richiesta al giudice che di solito è di condannare l'imputato a una pena precisa.
Figlio: “Di solito?” Perché non chiede sempre di condannarlo?
Padre: No. Qualche volta il pubblico ministero si convince da solo che l'accusa non regge e che stanno processando una persona innocente e allora lui stesso chiede l'assoluzione. Succede più spesso di quanto tu possa immaginare.
Figlio: Davvero?
Padre: Sì. Poi parla l'avvocato dell'imputato e fa quella che si chiama arringa (con due “r”, da non confondersi con le aringhe che di “r” ne hanno una sola). L'arringa è un discorso in cui lui spiega tutti i motivi per cui l'imputato dovrebbe essere assolto. A dir la verità in alcuni processi ci può essere anche un altro tipo di avvocato difensore, il difensore di parte civile, che rappresenta la persona che sarebbe stata danneggiata. Anche lui fa un'arringa per chiedere al giudice la condanna dell'imputato a risarcire il danno. Comunque sia, dopo che tutti hanno parlato, compreso l'imputato se vuol dire qualcosa anche lui, il giudice si ritira in camera di consiglio con il fascicolo che contiene tutti i materiali del processo e decide.
Figlio: Quanto ci mette a decidere?
Padre: Dipende dalla difficoltà. A volte è di nuovo in aula dopo dieci minuti a leggere quello che ha deciso, altre volte ci mette ore. In alcuni casi particolarmente difficili, i giudici ci mettono giorni interi per decidere, ma si tratta dell'eccezione non della regola.
Figlio: E le cose che decidono sono giuste? Cioè riescono a capire se uno è colpevole o innocente?
Padre: A volte sì, a volte no. Non è facile capire come stanno le cose. I giudici devono basarsi su quello che dicono i testimoni e i testimoni possono mentire oppure semplicemente ricordare male o ancora possono non essere capaci di spiegarsi bene e quindi dire delle imprecisioni. Quando i fatti possono essere stabiliti tramite dei documenti scritti è più facile prendere decisioni giuste perché, come diceva Cicerone, “una lettera non arrossisce”, cioè un documento scritto può essere guardato e riguardato più volte e non cambia mai versione, a differenza delle persone.
Figlio: E che succede se il giudice sbaglia? Che si può fare?
Padre: L'imputato può rivolgersi alla Corte d'Appello perché riveda il suo caso, se ritiene di essere stato condannato ingiustamente. Come anche il Pubblico Ministero può presentare un appello contro la sentenza di assoluzione che ritenga sbagliata.
Figlio: E se anche la Corte d'Appello sbaglia?
Padre: Allora si può andare davanti alla Corte di Cassazione, che è il giudice – così si dice – di ultima istanza.
Figlio: E se anche la Corte di Cassazione sbaglia?
Padre: Mi stai parlando di un caso di scalogna pazzesca, figliolo! Comunque, bisogna dire che di solito i giudici superiori correggono molti errori fatti dai giudici inferiori. Salendo in alto si trovano giudici più esperti che sono in grado di risolvere molti problemi.
Figlio: Ma alcuni errori rimangono sempre?
Padre: Gli errori ci sono sempre e sempre ci saranno. Nelle aule di giustizia come in qualsiasi altra attività dell'uomo. Si possono limitare, diminuire, ridurre, ma non si possono evitare del tutto. Noi siamo esseri umani, non siamo perfetti e commettiamo continuamente errori su tutto. Anche i giudici sono esseri umani e, per quanto possano sforzarsi, commetteranno sicuramente errori. Questa è una verità che non piace a nessuno, ma che non possiamo evitare. E bada bene, figlio mio, che questo vale per tutti i giudici del mondo, in tutti i paesi del mondo. Ci sono sistemi giudiziari migliori e sistemi giudiziari peggiori, ma non ci sono sistemi giudiziari perfetti.
Figlio: Allora non c'è niente da fare! Siamo tutti fregati!
Padre: Io direi invece che c'è molto da fare. Vedi, a volte si usa l'espressione “la macchina della giustizia” per indicare il funzionamento dell'apparato giudiziario e tutti immaginano un'automobile, che qualcuno preme i pedali e le leve giuste e cammina da se. In realtà, la macchina della giustizia assomiglia molto di più a una bicicletta, una di quelle biciclette a due o più posti che si vedono in certi vecchi film e si muove solamente se quelli che ci sono sopra pedalano. Per aiutare il giudice a non sbagliare bisogna dargli tutte le informazioni necessarie. Nel caso del singolo cittadino, questi deve dare tutte le informazioni necessarie al suo avvocato e l'avvocato deve usarle saggiamente per consentire al giudice di vedere il suo punto di vista.
Figlio: Allora quella frase che c'è scritta in tribunale, la legge è uguale per tutti, è vera o falsa?
Padre: Dipende da che cosa si intende. Devi considerare che in precedenza la legge non prevedeva che i cittadini fossero uguali davanti alla legge. Già in partenza si sapeva che quello che diceva il povero disgraziato non poteva prevalere su quello che diceva il ricco o il potente di turno. La frase che hai citato, la legge è uguale per tutti, viene dalla Rivoluzione Francese ed il concetto era conosciuto in Italia da tanto tempo, ma solo con la Costituzione Italiana del 1947 è diventato una parte delle nostre leggi. Prima di allora, ognuno sapeva in partenza che non tutti avevano gli stessi diritti e che alcuni valevano più di altri. Per darti un'idea, nel codice di procedura penale in vigore negli anni del Fascismo, c'era un inciso per cui si diceva che il giudice nelle sue valutazioni doveva agire avendo riguardo alla qualità delle persone, cioè l'esatto contrario del dire che la legge è uguale per tutti. Attualmente tutte le leggi prevedono che le persone siano trattate con criteri di eguaglianza. In questo senso è sicuramente vero che la legge è uguale per tutti.
Figlio: E in quale senso non è vero?
Padre: Non è vero nel senso che la legge venga applicata in modo da porre tutti su un piano di eguaglianza e che certi non ricevano un trattamento migliore. Il che, tanto per intenderci, non succede solo in Italia. Succede in tutto il mondo. Per comodità ti farò l'esempio di una causa civile. Chi è più ricco può permettersi una difesa migliore con più avvocati che lavorano per lui o, più semplicemente, può pagarla per più tempo. Ammesso che perda in primo grado, può andare in appello o sino alla cassazione. Il povero ha difficoltà a pagare il suo avvocato. Ora questo in certi casi non fa nessuna differenza e gli consente di ottenere lo stesso una buona difesa, ma in altri casi in cui il lavoro è molto complesso e richiederebbe l'operato di più persone per sostenere le ragioni del povero, la cosa è messa male. Se il povero perde in primo grado, difficilmente si può permettere di andare in appello. Per non parlare del fatto che in molti casi il povero preferisce chiuderla in fretta e prendersi quello che gli offre la controparte, anche se è pochissimo, perché ha bisogno di quei soldi per vivere.
Figlio: Ma la professoressa parlava di un aiuto che si dà ai poveri che non si possono permettere un avvocato...
 Padre: (Sospirando) Ah, sì! Si chiama patrocinio a spese dello Stato. Innanzitutto lo danno solo a persone poverissime, mentre ce ne sono altre che sono ugualmente povere ma hanno un reddito superiore a quello previsto dalla legge per ottenere il beneficio e ne sono escluse. Poi, detto tra noi, pagano una miseria. Anzi... Se facciamo il caso di un processo penale per reati di una certa entità, di quelli che devi studiarti migliaia e migliaia di pagine, quello che pagano all'avvocato non copre tutto il tempo che ci vuole per svolgere il lavoro. Per cui l'avvocato si trova davanti a un dilemma terribile: o lavora gratis per molte ore per garantire a quell'imputato una buona difesa oppure si limita a fare il minimo sindacale. E qui vedi che il povero rimane svantaggiato perché dall'altra parte c'è il pubblico ministero che ha a disposizione tanti uomini e tutti i mezzi dello Stato. Ma questo discorso vale anche per una causa civile. Se il giudice dispone una consulenza da parte di un perito per stabilire qualche aspetto tecnico della causa (ad esempio se Tizio è veramente malato o se l'automobile che ha avuto l'incidente era difettosa o meno) il ricco può chiamare come perito di parte, a sostenere le sue ragioni, un prestigioso professore che il povero non si può permettere. Per cui il patrocinio a spese dello Stato risolve il problema solo se si tratta di piccole cose, che non richiedono particolari studi o indagini o se si tratta di guerre tra poveri.
Figlio: Allora è tutta una questione di soldi!
Padre: No, questo non si può dire. I soldi influenzano l'andamento delle cause, ma non sono l'unico fattore che rende la legge non uguale per tutti. C'è anche un altro problema. Alcuni giudici possono avere timore di certe persone od organizzazioni o società. Questo timore può venire dalla consapevolezza di avere a che fare con qualcuno che è molto potente, non necessariamente perché è molto ricco ma forse perché è un alto funzionario di un'amministrazione pubblica o un esponente di un certo livello di un partito politico. Nella maggior parte dei casi, quando questo succede, non è che il giudice voglia consapevolmente avvantaggiare quella persona. Ma siccome si tratta di una persona che può creare dei fastidi, istintivamente ci pensa due volte a dargli torto se non ci sono motivi veramente validi per decidere contro di lui. Poi, se l'altra parte è stata in grado di dimostrare molto bene le sue ragioni e queste ragioni sono molto buone, il giudice probabilmente gli darà ragione, ma solo se questa ragione è molto evidente. Invece quando le parti in gioco sono persone di pari livello sociale, il giudice si sente libero di ragionare al meglio della sua conoscenza e decide senza condizionamenti.
Figlio: Questo hai detto che succede nei processi civili, ma nei processi penali, la legge è uguale per tutti o no?
Padre: Nei processi penali il discorso è un altro. Sicuramente anche in un procedimento penale essere ricco e potente fa molto comodo, ma in genere il vantaggio sta nel fatto che, se le prove a carico sono flebili o non ci sono e anche gli indizi non sono molto forti, succede spesso che il potente non arrivi neanche al processo perché già al livello delle indagini preliminari si decide di archiviare tutto. Il che peraltro è anche giusto, se veramente non ci sono elementi per processarlo. Il fatto è che contemporaneamente tante altre persone, verso cui ugualmente non ci sono prove e anche gli indizi sono così così, vengono invece rinviate a giudizio senza pensarci due volte.
Figlio: Quindi la persona “in vista” viene favorita?
Padre: Io non penso che lo si faccia apposta. O meglio qualche volta potrebbe anche succedere perché statisticamente qualche volta può succedere di tutto. Però io credo che, nella maggior parte dei casi, non succeda che si voglia appositamente avvantaggiare nessuno. Semplicemente, come succede al giudice nelle cause civili, qui il magistrato del pubblico ministero sa che se fa rinviare a giudizio il potente senza ottimi motivi avrà qualche scocciatura in più, perciò anche inconsciamente gli viene di che fare più attenzione. Le cose sono controllate con più cura e gli errori vengono evitati di più. In questo senso la legge non è uguale per tutti.
Figlio: Ma allora che cosa vuol dire quello che dice il padre del mio compagno di banco, che i magistrati sono tutti comunisti e ce l'hanno con i ricchi?
Padre: I comunisti sono un partito politico che esisteva prima che tu nascessi. Nel 1991 si sono sciolti ed ora ci sono pochissime persone che si dichiarano esplicitamente comunisti. Quando ero ragazzo io, era un partito molto forte, anche se non è mai arrivato al governo. Facendola molto semplice, il comunismo era un ideale che credeva nella lotta tra ricchi e poveri per creare una società più giusta. In teoria era una bella cosa, ma nella pratica gli stati che hanno cercato di mettere in pratica il comunismo hanno creato società prive di libertà, in cui i problemi della povera gente sono sostanzialmente rimasti.
Figlio: Sì, vabbé, ma i magistrati sono o non sono comunisti?
 Padre: Adesso ci arrivo, figliolo. Mentre i comunisti praticamente non esistono più, salvo qualche movimento abbastanza piccolo, al contrario quelli che si dicono anticomunisti sono cresciuti tantissimo. Quando ero ragazzo io, un giovane ci pensava due volte prima di dirsi apertamente anticomunista, perché i comunisti menavano e come se menavano! (Anche se poi è vero che menavano pure quelli dell’altra parte!) Adesso che non sussiste più il pericolo, tutta questa gente parla con grande coraggio contro un nemico che non c'è più. Devi sapere che spesso in Italia, quando qualcuno si mette contro i personaggi più potenti, la prima cosa che gli dicono è “comunista”. Ora, ci potranno anche essere magistrati comunisti qui e la, come ci possono essere idraulici comunisti o farmacisti comunisti, ma la maggior parte dei magistrati non è per niente comunista e non ce l'ha affatto con i ricchi. Però nel momento in cui arrivano uno o più magistrati del pubblico ministero che fanno bene il loro lavoro e cominciano ad indagare sugli affari sporchi di gente ricca e potente, immediatamente gli danno del comunista e dicono che fa le cose per motivi politici.
Figlio: Quindi la legge non è uguale per tutti se sei ricco.
Padre: Diciamo che è sicuramente meno uguale se sei povero.
Figlio: E se in un processo si scontrano tra loro solo poveri, allora è uguale?
Padre: Funziona meglio. Non è mai perfetta, perché al mondo non c'è niente di perfetto, però funziona meglio. Qualche problema c'è più che altro nei processi penali se la persona offesa è un poliziotto o un carabiniere, insomma fa parte delle forze dell'ordine. Infatti, quando un poliziotto o meglio ancora più poliziotti accusano una persona di qualcosa, quello che dicono loro viene preso in considerazione più di quello che dicono gli altri testi “non poliziotti”. Il problema è che alcuni poliziotti si montano la testa e pensano di essere onnipotenti. In alcuni casi ci sono degli abusi che è veramente difficile smontare. Questo è un problema che non è solo italiano. Esiste un po' dappertutto nel mondo, ma laddove ciò che dice il poliziotto conta più di quello che dice il semplice cittadino (e, se qualcuno mette in dubbio quello che dice il poliziotto è visto anche lui come un “comunista”, un sovversivo) il problema diventa più grave.
Figlio: È un bel problema!
Padre: Sì, lo è! Ma c'è anche un altro problema per quanto riguarda il processo penale che è altrettanto grave, se non di più.
Figlio: Un altro caso in cui la legge non è uguale per tutti?
Padre: Non so se si possa dire questo. In effetti è un problema che va a toccare più o meno tutti, sia ricchi che poveri, in senso negativo. Adesso ti spiego. Ti ricordi che ti ho detto che giudici e pubblici ministeri vengono dallo stesso concorso e sono in effetti colleghi?
Figlio: Sì hai detto che sono tutti e due magistrati.
Padre: Esatto! Allora se ricordi abbiamo detto che nel processo penale il pubblico ministero accusa, l'avvocato difende e il giudice decide. Giusto?
Figlio: Giusto!

Padre: Hai mai notato che la giustizia viene rappresentata da una bilancia? Una bilancia si tiene in equilibrio se da una parte e dall'altra i pesi sono uguali. Altrimenti penderà più da una parte che dall'altra. Mi segui?
Figlio: Sì, certo!
Padre: Allora diciamo che il pubblico ministero e l'accusa la fa pendere da una parte e dall'altra l'avvocato difensore dovrebbe avere altrettanto peso. Non trovi?
Figlio: Sicuramente!
Padre: Ora questo concetto che il giudice deve essere imparziale lo si trova espresso in molti modi nelle leggi. Considera, ad esempio che in un processo civile un giudice dovrebbe astenersi da una certa causa e chiedere di essere sostituito se una delle parti è un suo “commensale abituale” ovvero se è un amico con cui si invitano a pranzo. Ora trasporta questo concetto nel processo penale: il giudice è un magistrato e giudica il processo in cui una delle parti potrebbe essere o meno un suo commensale abituale. Spesso lo è ed è anche giusto che lo sia, perché nessuno vuole che i giudici diventino dei robot che tagliano i ponti con gli amici e i colleghi. Ma è un dato di fatto che è un suo collega. Tra di loro quasi sempre si danno del tu. Dall'altra parte il difensore è un avvocato. È un professionista, non un magistrato. In Italia, a differenza che ad esempio nei paesi anglosassoni, magistrati e avvocati non si considerano colleghi più di quanto lo si considerino autisti dell'autobus e piloti d'aereo.
Figlio: Allora condannano tutti?
Padre: È ovvio che non sto dicendo quello! È chiaro che i giudici sono persone intelligenti e cercano di fare bene il loro lavoro. Quello che voglio dire è che questa situazione li mette in difficoltà. Ogni volta che assolvono qualcuno, stanno dando torto al loro collega. Per cui lo fanno sì, ma solo se sono sicurissimi che l'imputato sia innocente. Se non sono sicurissimi che è innocente tendono a condannare. Invece, secondo la Costituzione, dovrebbe essere il contrario: l'imputato è da considerarsi innocente sino a prova contraria e questa prova dovrebbe essere data oltre ogni ragionevole dubbio.
Figlio: Mamma mia! Mi prende male!
Padre: Perché, figliolo?
Figlio: Perché non c'è niente che funzioni.
Padre: Non è vero che non funziona nulla. Diciamo che non funziona come dovrebbe e ci sono tante cose da sistemare. Probabilmente alcune leggi dovrebbero essere cambiate. Ogni tanto c'è qualcuno che non fa il suo dovere, ma ce ne sono tanti altri che lo fanno. E ci sono persone che spesso lavorano anche per coprire le mancanze di quelli che non lavorano bene. Per non parlare di quelli, negli uffici giudiziari, che si trovano a coprire anche le mancanze dell'organizzazione con tanta buona volontà!
Figlio: E allora?
Padre: Allora io credo che la conclusione che possiamo fare da tutto questo discorso è che la legge è uguale per tutti se noi facciamo funzionare le cose al meglio delle nostre possibilità. Noi cittadini, voglio dire. Ci sono troppe persone che pensano solo ai fatti loro, ma se avessero più coraggio e cominciassero a interessarsi a questi problemi, anziché lasciarli solo agli avvocati e ai magistrati, qualcosa comincerebbe a muoversi. Se protestassero quando gli uffici giudiziari non funzionano bene. Non con gli impiegati, che fanno quello che possono, ma con lo Stato che non manda abbastanza soldi, in alcuni casi neanche per la carta. Se si chiedesse di fare una vera riforma della giustizia. Se si spendessero meno soldi in bombardieri e più soldi per assumere magistrati e cancellieri e per dare loro più mezzi. E per darne di più anche alla polizia per reprimere la criminalità! Se si chiedesse di cambiare il modo di fare i processi, in modo da renderli più veloci e perdere meno tempo con mille pezzi di carta inutili. Se i cittadini mostrassero un vero interesse verso queste cose e tutti quelli che ci lavorano fossero da un lato ben forniti di tutto, per lavorare bene e dall'altro sotto i riflettori della società. Beh, se facessimo tutto questo, riusciremmo a rendere la legge uguale per tutti o almeno più uguale di quanto sia ora.
Mi ero riscaldato nel dire queste cose. Mio figlio mi guardava se non con preoccupazione, perlomeno con un po' di perplessità. Mi ringraziò per la spiegazione e se ne andò pensoso. Volevo spiegargli le cose e invece ero riuscito solo a distruggere le sue poche certezze. Non so quanto sia riuscito a fargli capire come stanno le cose, ma so che quel giorno contribuii in piccola misura a fare di lui un cittadino vero, non uno dei tanti sudditi di un regime di plastica.


giovedì 11 agosto 2011

Non dire gatto...


Leggo sui notiziari che il giudice Riccardo de Vito, della sezione di Olbia del tribunale di Tempio Pausania, ha condannato a sei mesi tre sconsiderati che, per puro quanto malsano divertimento, avevano catturato un povero gatto, l'avevano cosparso di benzina e gli avevano dato fuoco. Così, tanto per vedere l'effetto che fa.
Non mi soffermerò più di tanto a commentare la cosa in sé. Anche a me, come alla maggior parte di chi non sia completamente insensibile alle sofferenze altrui, vengono in mente pensieri di profonda indignazione. Probabilmente ad ognuno di noi viene da pensare che i tre meriterebbero una punizione esemplare. Che so, che si incendiasse il loro sedere per vedere come corrono bene. Una cosa da cartoni animati della Warner Bros, che sono probabilmente il modello a cui si sono ispirati.
Al di là di questi aspetti prettamente emotivi e dell'importanza che la sentenza può avere per i sostenitori dei diritti degli animali, ritengo personalmente che la cosa più illuminata della sentenza, perlomeno come ci viene raccontata dagli organi di informazione, è che il giudice NON abbia concesso la sospensione condizionale della pena. Ovvero, se la pena dovesse essere confermata e divenire definitiva, i tre dovrebbero scontarla effettivamente, in una forma o nell'altra.
Personalmente sono contento che esista la possibilità della sospensione condizionale della pena per chi non ha precedenti condanne e reputo che questo sia un ottimo modo per dare un avvertimento alla persona per bene che commette un singolo errore non particolarmente grave, affinché si dia una mossa ed eviti altri comportamenti discutibili nel futuro. Specialmente se si considera che sono considerati illeciti penali anche comportamenti come costruirsi un gabinetto in casa propria senza l'autorizzazione edilizia o tenere in tasca come portafortuna un bossolo esploso di proiettile per fucile da caccia, magari trovato per terra in campagna o altre amenità del genere che, se proprio si vuole sanzionarle, una sanzione amministrativa basta e avanza.
Tuttavia il fatto di applicare la sospensione condizionale a tutte le condanne al di sotto di una pena di due anni in modo assolutamente acritico genera anche mostri non indifferenti.
Ci possono essere casi di persone che letteralmente ne perseguitano un'altra, ma ogni volta compiono azioni per cui la condanna è necessariamente bassa, perché non arrivano a provocare gravi danni fisici. O comunque persone per cui la legge non consente una condanna elevata ma le cui azioni sono sicuramente abiette, come questi tre incendiari di gatti.
Concedere in questi casi la sospensione condizionale della pena, come di fatto avviene quasi sempre, significa dare un messaggio ai mascalzoni: picchiare qualcuno, imbrogliare, molestare qualcun altro conviene sempre in questo paese. L'importante è non farla troppo grossa e non innestare la reazione più forte del sistema, quella che ti manda subito dentro. Al peggio, se proprio va male, vi condannano con la condizionale e non fate un solo giorno di prigione. Magari avete pure modo di fargliela pagare a quello che vi ha denunciato, sempre che non vi facciate scoprire.
Il dottor De Vito con questa scelta illuminata ha dimostrato la possibilità di reprimere questo ambito di piccola delinquenza nascosta e solitamente impunita che rende peggiore la nostra società.
Non mi faccio illusioni. Esistono buone possibilità che la sentenza venga modificata in appello, da giudici che ritengano opportuna la concessione della condizionale in nome di questa applicazione automatica agli incensurati, di cui parlavo prima. Speriamo di no.
Ma intanto godiamoci per un giorno l'idea che anche per i gatti indifesi c'è un giudice ad Olbia.







sabato 6 agosto 2011

Una lista di domande da porci (2° parte e ultima)


Con tante scuse per il ritardo, ecco finalmente la lista delle domande da porci ai fini della nostra riforma della giustizia dal basso. Vi prego di considerare che:
a) Sono le domande che ho preparato io e non sono scese dall'alto per rivelazione. Sono solo un modo di suscitare un dibattito. Se a qualcuno non piacciono (come è legittimo) del tutto o in parte nulla impedisce di prepararne altre e proporle. Siamo ansiosi di sentire opinioni diverse.
b) È un'elencazione di varie possibilità, a molte delle quali personalmente potrei credere, mentre ad altre non credo per nulla, ma le ho presentate comunque per onestà intellettuale, in modo da fornire il più vasto campionario possibile di idee.
c) Qualunque riforma della giustizia, dall'alto o dal basso, non potrà mai togliere a chi ha vinto un pubblico concorso in magistratura i diritti acquisiti di rimanere nella sua posizione (o in altra superiore) sino alla pensione. Peraltro chiunque capisca i primi rudimenti di scienza dell'amministrazione sa, che in uno stato diverso da una repubblica delle banane, le riforme non si fanno mai contro coloro debbono applicarle, ma sempre con il loro coinvolgimento.
A. Giudici e pubblici ministeri. Indipendenza dei giudici. Giurie popolari
Reclutamento dei giudici e dei pubblici ministeri
  1. Con quali modalità dovrebbero essere reclutati i giudici e i magistrati che svolgono le funzioni di pubblico ministero?
  2. Potrebbe funzionare il sistema dell'elezione diretta dei giudici e dei responsabili delle procure, vigente in alcuni stati degli USA?
  3. Potrebbe funzionare un sistema analogo a quello vigente in alcuni altri stati degli USA, che vede i giudici e i pubblici ministeri nominati direttamente dal governatore, sia pure attingendo a una lista di soggetti qualificati?
  4. Se si decide di mantenere l'attuale sistema di reclutamento dei magistrati tramite pubblico concorso per esami, come evitiamo scandali e brogli nel relativo concorso, assicurando un equo accesso in magistratura a chi è qualificato, a prescindere da nepotismi o raccomandazioni politiche?

  5. Come risolvere il problema dell'eccessiva vicinanza nel processo penale del giudice col pubblico ministero (in quanto colleghi) rispetto agli avvocati del libero foro (che loro colleghi non sono) e della situazione di svantaggio che se ne determina per l'imputato e le altre parti private?
  6. Separare le carriere del giudice e del pubblico ministero, facendo sì che provengano da concorsi diversi ed eventualmente abbiano anche un diverso organo di autogoverno (i cosiddetti “due CSM”) servirebbe a qualcosa?
  7. Mettere i pubblici ministeri sotto il controllo del governo potrebbe essere un buon modo di separarli dai giudici, rendendo questi ultimi più indipendenti?
  8. Premesso quanto detto in premessa al punto c), se i magistrati, senza eliminare il pubblico concorso (imposto dalla Costituzione all'art. 106 c. 1) fossero scelti solo tra elenchi di persone che sono iscritte all'ordine degli avvocati, questo eliminerebbe la disparità di rapporto tra giudici, pubblici ministeri e avvocati?
  9. Premesso quanto detto in premessa al punto c), se i magistrati nominati in seguito a una riforma, non fossero considerati impegnati in una vera e propria carriera, da seguire per forza dall'inizio alla fine, ma nell'espletamento di una pubblica funzione a cui si dedicherebbero taluni avvocati per un periodo anche lungo ma limitato della loro carriera, con la possibilità di ritornare alla libera professione al termine dell'incarico, questo eliminerebbe la disparità di rapporto tra giudici, pubblici ministeri ed avvocati?


     
    Equo accesso all'avvocatura e ranking verificabile tra gli avvocati come punto di partenza per un equo accesso alla magistratura
  1. Nell'eventualità che si scelga un sistema che integra gli avvocati con la magistratura come nelle due ipotesi precedenti, come evitiamo la possibilità di brogli nell'esame di avvocato, assicurando un equo accesso in avvocatura a chi è qualificato, a prescindere da nepotismi o raccomandazioni politiche?
  2. Nello specifico dal momento che, in un sistema che integra gli avvocati con la magistratura, l'accesso alla professione forense diventa il punto cruciale di tutte le pressioni politiche, economiche e di ogni altro genere verso il controllo del sistema giudiziario e che negli ultimi anni è sorta una pesantissima polemica su possibili brogli e favoritismi nell'esame di avvocato, non sarebbe meglio prevedere un esame che si basi interamente o quasi interamente su questionari, simili a quelli usati in altri pubblici concorsi e soprattutto somministrati a mezzo di sistemi informatici, in modo tale che le risposte siano controllate dalla macchina senza intervento umano e che chiunque possa verificare i risultati propri e quelli degli altri, ottenendo una trasparenza assoluta?
  3. Non solo per consentire selezioni tra gli avvocati ai fini dell'accesso eventuale alla magistratura, ma anche per fornire un criterio di selezione del legale di fiducia al potenziale cliente, che si basi su dati certi e verificabili (prescindendo sia da forme pubblicitarie, che dall'appartenenza all'establishment economico-politico del professionista) sarebbe utile e possibile sviluppare un sistema indipendente e controllabile di ranking degli avvocati, che si basi su elementi certi e non falsificabili, quali l'anzianità, il numero delle cause trattate in rispettivi campi ed eventualmente vinte (o almeno concluse con transazione) il numero delle consulenze svolte in singoli campi (che dovrà naturalmente trovare riscontro nelle fatture emesse dal professionista) i corsi seguiti, le pubblicazioni, encomi ricevuti, provvedimenti disciplinari subiti o altro?
Accesso del popolo all'amministrazione della giustizia con un incremento delle giurie popolari
  1. Affiancare in modo massiccio i giudici popolari ai giudici togati, prevedendone l'uso in tutte le cause penali (forse con l'eccezione di materie che richiedono notevoli competenze tecniche) aiuterebbe i tribunali a prendere decisioni migliori?


  2. Premesso che oggi i giudici popolari si riuniscono assieme ai giudici togati nella camera di consiglio della corte d'assise per decidere insieme su tutti gli aspetti del processo (e che la maggior parte dei giudici popolari subisce in modo più o meno passivo quello che dicono i giudici togati, non avendo gli strumenti culturali per fare diversamente) non si potrebbe pensare a far riunire da soli i giudici popolari per decidere solo del fatto (es.: Tizio ha veramente commesso il reato attribuitogli?) lasciando che invece successivamente il giudice togato in caso di condanna decida le questioni giuridiche (es: a quale pena deve essere condannato Tizio? A quanto deve ammontare il risarcimento che dovrà pagare alla parte offesa?)?
  3. Nel caso si ritenga utile un ampliamento dell'uso delle giurie popolari e del loro ruolo, non sarebbe il caso di procedere a una riforma di questo istituto che preveda una riqualificazione dei giurati tramite corsi di procedura penale e con processi simulati? Per assicurare una qualità dell'insegnamento di questi corsi, non sarebbe il caso che fossero tenuti presso le scuole di specializzazione in materie giuridiche delle università o comunque da personale docente di queste?
  4. Sempre nel caso di ampliamento dell'uso delle giurie popolari e del loro ruolo non sarebbe il caso di prevedere giurie popolari specializzate per materie più complesse? (Ad esempio, dottori o ragionieri commercialisti per reati tributari o societari o bancari)
B. Riforma del processo civile e penale
Possibili riforme comuni a entrambi i processi
  1. Sia per il processo civile che per quello penale, considerando le enormi difficoltà e le massicce perdite di tempo dovute alla verbalizzazione delle udienze, in particolare nell'audizione di testimoni, non sarebbe opportuno utilizzare al meglio e nella forma più economica le tecnologie moderne imponendo a pena di nullità delle udienze, la loro registrazione audio completa? Non sarebbe opportuno che le registrazioni audio di tutte le udienze civili e penali in qualsiasi stato, fase e grado del giudizio di merito fossero inserite nel fascicolo e facessero fede di quanto viene detto?
  2. Sia per il processo civile che per quello penale, considerando le croniche carenze di personale di cancelleria e comunque la necessità di ridurre e razionalizzare il loro lavoro con l'uso massiccio delle moderne tecnologie, non sarebbe il caso di introdurre obbligatoriamente e per regola l'uso dei programmi di riconoscimento vocale, che consentirebbero di avere pronto il canovaccio del verbale da redigere, riducendo al minimo i tempi di predisposizione della maggior parte degli atti di ufficio?
  3. Una volta che quanto avviene in udienza viene registrato in audio e non va mai perduto e che l'uso del riconoscimento vocale ne consente uno sbobinamento rapidissimo, non sarebbe il caso di rendere non obbligatoria la presenza fisica dei cancellieri alle udienze penali davanti agli uffici del giudice di pace e del tribunale monocratico, come già avviene da tempo immemorabile per le udienze civili, con risparmio di milioni di Euro di ore di lavoro e aumentando la loro disponibilità per quei compiti in cui la loro professionalità non può essere sostituita da una macchina?
Processi civili
  1. Dal momento che i processi civili durano per anni, con grave danno di chiunque, delle classi sociali più deboli come di quelle benestanti e di tutto il sistema economico (che vede gli investitori stranieri scappare letteralmente dal nostro paese) non sarebbe il caso di cambiare completamente il processo civile, seguendo una procedura orale simile a quella del processo penale?
  2. Una volta che non abbiamo necessità di avere i cancellieri sempre presenti a tutte le udienze e che l'uso delle tecnologie ci consente almeno altrettanta sicurezza nella certificazione che con la loro presenza, non potremmo prevedere per regola di tenere le udienze civili e penali sia di mattina che di sera almeno per cinque giorni alla settimana, raddoppiando quindi le possibilità attuali e riducendo almeno della metà i tempi dei rinvii?
  3. Dal momento che attualmente esistono tre giudici diversi per l'affidamento dei figli in coppie che si separano dopo il matrimonio, per l'affidamento dei figli di coppie conviventi non sposate e per i figli delle persone decedute, perché non creare un giudice unico civile per tutte le questioni familiari e lasciare al tribunale per i minorenni la sola competenza penale?
Processi penali
  1. Considerando l'enorme importanza del giudice delle indagini preliminari come filtro tra le indagini preliminari e l'eventuale dibattimento e del suo ruolo chiave per la celerità dei processi, non sarebbe il caso di prevedere un aumento dell'attività dei GIP/GUP con udienze mattina e sera e per almeno cinque giorni alla settimana?
  2. Anche in considerazione dell'ottimo rapporto costi/benefici, non sarebbe utile ed opportuno prevedere la registrazione audio obbligatoria, a pena di nullità, degli atti di TUTTE le fasi del processo penale? Ovvero non solo le udienze del dibattimento, ma anche le udienze preliminari, gli esperimenti giudiziali, gli interrogatori di testimoni e dell'imputato e in genere tutto quello che si svolge in contraddittorio o comunque costituisce o potrebbe in futuro costituire prova valutabile dal giudice?
  3. Considerando l'attuale situazione della parte offesa nel processo penale (paragonabile al classico due di picche) non sarebbe il caso di prevedere una maggiore libertà d'azione per la parte offesa nel processo penale? Non sarebbe particolarmente utile questo per i piccoli reati, nei quali spesso il pubblico ministero affronta la cosa con pochi mezzi e a volte con scarsa considerazione dell'impatto sociale di questi fatti per le persone offese?
  4. Si potrebbe prevedere che la parte offesa possa essere sempre rappresentata (se lo desidera) nel processo penale, anche se non si costituisce parte civile?
  5. Considerando l'abuso della sospensione condizionale, che viene applicata in modo pressoché automatico a tutti gli incensurati, non sarebbe opportuno stabilirne l'abolizione nel caso di reati legati ad atti di violenza gratuita o a sfondo sessuale?
  6. Considerando l'utilità dimostrata in altri paesi dal principio della tolleranza zero e dello shock effect, nonché del basso costo di periodi di detenzione brevissimi, non sarebbe il caso di prevedere, anche in caso di sospensione condizionale, una sorta di franchigia per cui si sconta comunque una piccola parte della pena sino all'equivalente di 30 giorni di arresto o detenzione o il totale della pena che non ecceda i trenta giorni?
  7. Contestualmente a una maggiore severità laddove si riconosca la colpevolezza di un individuo e alla certezza della pena, non sarebbe ancora più importante assicurarsi che nessuno sia condannato per soli indizi e senza reali prove o per la parola di una sola persona (ergo senza la testimonianza congiunta di due o più testimoni) e non sarebbe quindi il caso di modificare l'art. 192, 2° co. c.p.p. che dice: "l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi non siano gravi, precisi e concordanti", abolendo l'ignobile inciso “a meno che questi non siano gravi, precisi e concordanti”?

C. Uguaglianza dei cittadini nel processo e davanti alle forze di polizia, lotta agli abusi, riequilibrio dei poteri tra classi sociali nell'accesso alla giustizia

  1. Una volta stabilita una maggiore severità verso chi  commette reati di particolare impatto e pericolosità sociale, non è opportuno come contrappeso abolire il reato di vilipendio di pubblico ufficiale, che non ha nessuna utilità pratica concreta (l'offesa gratuita al poliziotto sarebbe comunque punita da altre norme di legge) ed è solo una fonte di abusi verso il cittadino onesto? Se proprio si vuole punire più gravemente l'offesa al pubblico ufficiale, in quanto offesa allo stato, non sarebbe meglio prevedere motivi di aggravante per altri reati?
  2. Vogliamo abolirla la presunzione di verità sulle dichiarazioni dei pubblici ufficiali nel caso di reati che si sostengono commessi contro di loro, mettendoli alla pari dei cittadini senza uniforme?


  3. Considerando la grande facilità di abusi da parte di elementi ed ambienti deviati delle forze dell'ordine, che dire della creazione di figure di reato specifiche, chiaramente determinate e severamente punite, che scoraggino gli abusi delle forze di polizia e ancor più la loro copertura da parte dei superiori?
  1. Dal momento che la presenza di norme sanzionatorie riduce l'ambito di accettazione sociale dei comportamenti puniti e che l'Italia ha molto bisogno di far smettere alcuni comportamenti individuali e di gruppo, che trovano il loro humus in dottrine politiche e sociali estremiste e che sono esiziali per l'uguaglianza dei cittadini, non sarebbe opportuno prevedere specifiche figure di reato contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose, l'omofobia e la tortura?



  2. Dulcis in fundo: premesso che le attuali norme sulla class action sono – per essere molto gentili – all'acqua di rose e che in Italia chi ha più soldi per resistere in giudizio finisce con il prevalere sulle parti meno affluenti, non sarebbe opportuno prevedere come nei paesi Anglosassoni la possibilità di condanna al pagamento dei danni punitivi come mezzo per riequilibrare il rapporto tra grandi aziende o enti pubblici e soggetti socialmente piccoli o svantaggiati?