venerdì 9 settembre 2011

La magistratura spiegata a mio figlio

Mio figlio aveva un viso assorto come non l'avevo mai visto. Sembrava preso da pensieri fin troppo profondi per un giovane della sua età. Da padre attento, mi rendevo conto che era giunto un momento importante della vita del mio ragazzo. Un momento in cui dovevo farmi carico di insegnargli alcuni fatti importanti della vita e farlo in un linguaggio che lui potesse capire.
Così ci fu tra noi il seguente dialogo, che ho cercato di rendere nel modo più fedele possibile affinché possa eventualmente servire a qualche altro padre e a qualche altro figlio.
Padre: Come va figliolo?
Figlio: Benissimo papà!
Mai che uno ti risponda che sta crepando, quando glielo chiedi! Tutti dicono di stare bene, con la sola eccezione degli ipocondriaci che ti raccontano tutte le loro malattie in dettaglio.
Padre: Sei proprio sicuro, figliolo? A me sembra che ci sia qualcosa che ti turba!
A quel punto mio figlio sembrava combattuto, come se una parte di lui volesse confidarsi e l'altra no. Rimase così per alcuni secondi, poi trovò il coraggio di parlare.
Figlio: Sai, papà, ieri la professoressa di storia e geografia ci ha portati al palazzo di giustizia.
Padre: Bene, figliolo! Mi sembra una gran bella idea. Ma ti vedo poco entusiasta. Hai visto qualche cosa che ti ha turbato?
Figlio: (Con tono molto serio e guardando il padre negli occhi) Papà, dimmi una cosa...
Padre: (Rassicurante) Dimmi, figliolo... dimmi! Quello che vuoi! (Pausa) Basta che non mi chieda soldi.
Figlio: (Come sopra) Papà, dimmi... (Trova il coraggio) Da dove vengono i magistrati? (Tono severo) E non venirmi a dire che sono troppo piccolo per sapere queste cose, come hai fatto altre volte!
Padre: (Rassicurante) Ma no, figliolo! Quello lo dicevo anni fa, quando mi chiedevi per chi avessi votato! Ora è diverso! Sei più grande ed è giusto che tu conosca i fatti della vita, anche quelli di cui è più difficile parlare.
Figlio: (Serissimo) Papà, allora dimmelo!
Silenzio.
Padre: (Cercando di trovare le parole) Vedi, figliolo... non è facile da spiegare... Diciamo intanto che quando si parla di magistrati si parla di due categorie di persone diverse tra loro.
Figlio: Come i maschi e le femmine?
Padre: Non così tanto, figliolo, anche perché in queste categorie ci sono sia maschi che femmine. Diciamo che i magistrati si possono dividere in giudici e pubblici ministeri. I giudici sono quelli che al palazzo di giustizia hai visto in aula seduti al centro e che dirigevano i processi. Sono quelli che alla fine devono decidere chi ha ragione e chi ha torto oppure se qualcuno deve essere o no punito.
Figlio: (Assapora le parole meditando) “Chi ha ragione e chi ha torto?” Come a Forum?
Padre: (Trasalisce) Ti prego, figlio mio! Lo sai che non devi mai citare in mia presenza quella trasmissione! Abbi pietà del mio stomaco!
Figlio: Scusa papà! Mi ero dimenticato!
Padre: Tornando alle cose serie, figliolo, devo dirti che i processi possono essere di vario genere, ma nella maggior parte dei casi sono processi civili o processi penali. Nei processi civili i giudici di solito devono giudicare tra persone che discutono e stabilire chi ha ragione.
Figlio: Come quelli che bisticciano al bar se è più forte l'Inter o la Juventus?
Padre: Non proprio, figliolo. Quelli al bar bisticciano per le loro opinioni o perché fanno il tifo a una squadra o all'altra, ma in realtà non hanno nessun vero interesse personale. Discutono per passare il tempo. Quelli che vanno davanti a un giudice civile bisticciano perché uno dice che l'altro gli deve soldi o perché uno dice che l'altro gli ha venduto un oggetto che non funziona o perché afferma che il testamento con cui lo zio ha lasciato tutto al cugino anziché a lui è falso come Giuda o cose del genere. Insomma, in questi processi civili, ci sono due o più parti private di cui una vuole qualcosa dall'altro che l'altro non vuole dare o tutte e due vogliono qualcosa l'uno dall'altro e non riescono a mettersi d'accordo. Così il giudice deve decidere chi ha ragione.
Figlio: Allora è come dicevo io! È come a ... ?
Padre: (Precedendolo) Di nuovo?
Figlio: (Mettendosi la mano sulla bocca) Oh... scusa ancora papà!
Padre: (Ancora turbato) Vabbé... lasciamo perdere... Insomma, questi che ti dicevo in cui ci sono due parti che vogliono qualcosa l'una dall'altra (ma le parti possono essere anche più di due) si chiamano processi civili. Poi ci sono quelli penali. Nei processi penali il giudice deve decidere se una persona ha commesso un reato, cioè se ha commesso un'azione che la legge punisce.
Figlio: Se deve andare in prigione?
Padre: Eventualmente sì, ma non tutti i reati prevedono come pena che una persona vada in prigione. In alcuni casi può essere condannata solo a pagare una somma di danaro. Non tutte le cose sono gravi allo stesso modo.
Figlio: Beh, certo!
Padre: È nei processi penali soprattutto che incontriamo l'altro genere di magistrati che ti dicevo, cioè i pubblici ministeri. Allora abbiamo visto che i giudici giudicano...
Figlio: … e i pubblici ministeri ministrano?
Padre: (Disgustato) Figliolo, ti consiglio di non mettere così a dura prova la mia pazienza! No. I pubblici ministeri non “ministrano” niente. Il pubblico ministero è quel magistrato che, nei processi penali, rappresenta l'accusa contro la persona che viene processata. È quello che cerca di convincere il giudice che deve condannare l'imputato.
Figlio: Allora il pubblico ministero c'è solo nei processi penali?
Padre: Di solito sì, ma in certi casi il pubblico ministero c'è anche nei processi civili.
Figlio: E che ci va a fare? Mi hai detto che nei processi civili si parla delle questioni di singole persone e non si condanna nessuno ad andare in prigione o che...
Padre: È vero, ma ci possono essere processi civili che hanno a che fare con cose particolarmente delicate o importanti, come ad esempio decidere a quale dei genitori che si separano devono essere affidati i figli o se una persona che non c'è più con la testa deve essere rappresentata da un altro nel prendere certe decisioni importanti, per evitare che si cacci nei guai o altre cose del genere. In questi casi anche nel processo civile ci deve essere il pubblico ministero.
Figlio: E va bene, papà. Allora mi hai detto che i magistrati sono detti giudici o pubblici ministeri. Ma i pubblici ministeri non erano anche loro giudici?
Padre: No figliolo! I giudici, come ti ho spiegato, sono una cosa e i pubblici ministeri sono un'altra.
Figlio: Ma Falcone e Borsellino che cos'erano? Giudici o pubblici ministeri?
Padre: Erano tutti e due pubblici ministeri, figliolo.
Figlio: E perché ho sentito uno alla televisione parlare del “giudice Falcone” e del “giudice Borsellino”?
Padre: Perché è un asino, figliolo!
Figlio: Ah, beh...
Padre: Comunque, adesso hai capito che i magistrati si dividono in giudici e pubblici ministeri.
Figlio: Sì papà, ma ancora non mi hai detto da dove vengono i magistrati!
Padre: È vero, ma non potevo dirti da dove vengono i magistrati, se prima tu non capivi la differenza tra un tipo di magistrato e l'altro. (Solenne) Ora figlio mio ti dirò come nascono i magistrati.
Figlio: Ecco, sì papà! Dimmi!
Padre: Vedi figliolo, ricordi tuo cugino Barore? Ricordi che si è laureato in giurisprudenza?
Figlio: E come potrei dimenticarlo? Non ha parlato d'altro per un mese!
Padre: Anche per due figliolo, se è per questo! Ecco prendi qualche migliaio di persone come tuo cugino...
Figlio: Cretini come lui?
Padre: Non credo. Come tuo cugino non ce ne sono tanti! Diciamo qualche migliaio di persone di tutti i livelli di intelligenza, ma laureate in giurisprudenza. Prendi queste persone e falle partecipare a un concorso!
 Figlio: Concorso a punti?
Padre: Beh, sì, in un certo senso...
Figlio: Come il totocalcio?
Padre: Beh, non proprio?
Figlio: Devono indovinare qualcosa?
Padre: Devono indovinare un sacco di cose! Fanno tre compiti difficilissimi su materie diverse che riguardano il diritto cioè la scienza della legge. Quelli che prendono la sufficienza vengono richiamati vari mesi dopo e interrogati su una decina di materie diverse per circa un'ora.
Figlio: Allora sanno un sacco di cose!
Padre: Sulle leggi sì.
Figlio: E poi cosa succede?
Padre: Di queste persone viene fatta una graduatoria e quelli che hanno i voti migliori vincono il concorso e diventano magistrati.
Figlio: (Meditando) Ma diventano giudici o pubblici ministeri?
Padre: All'inizio nessuno dei due. Diventano uditori giudiziari, che sono magistrati all'inizio della carriera che vengono addestrati dai magistrati più anziani per un anno e mezzo o due in modo da imparare a fare il loro lavoro. Solo dopo questo addestramento vengono nominati a svolgere mansioni di giudice o pubblico ministero.
Figlio: E quindi uno giudica le persone e uno le accusa.
Padre: Sì, figliolo. Però non dimentichiamoci che l'imputato, la persona che è accusata di aver violato la legge, ha anche un avvocato difensore. Questo avvocato ha il compito di difendere l'imputato dalle accuse del pubblico ministero e dimostrare la sua innocenza. Quindi, riassumendo, il pubblico ministero accusa, l'avvocato difende e il giudice decide e giudica.
Figlio: E come fa il giudice a capire come deve giudicare?
Padre: Sia il pubblico ministero che l'avvocato dell'imputato presentano le loro prove per dimostrare che l'imputato è colpevole o che è innocente. Queste prove possono essere le testimonianze di persone che sono informate su quello che è successo o che hanno visto come si sono svolti i fatti, oppure documenti o ancora opinioni di esperti sui fatti del processo. Prima si ascoltano le testimonianze chieste dal pubblico ministero, poi quelle chieste dalla difesa e poi si fa la discussione finale.

Figlio: E che cosa discutono?
Padre: Si chiama discussione ma non è proprio una discussione come quella delle persone che discutono al bar. In effetti è una serie di discorsi. Prima parla il pubblico ministero e fa un discorso che si chiama requisitoria in cui riassume quello che è riuscito a dimostrare tramite i testimoni suoi e i documenti che sono stati presentati, eventualmente dice qualcosa in merito a quello che risulta dalle testimonianze della difesa e finisce con una richiesta al giudice che di solito è di condannare l'imputato a una pena precisa.
Figlio: “Di solito?” Perché non chiede sempre di condannarlo?
Padre: No. Qualche volta il pubblico ministero si convince da solo che l'accusa non regge e che stanno processando una persona innocente e allora lui stesso chiede l'assoluzione. Succede più spesso di quanto tu possa immaginare.
Figlio: Davvero?
Padre: Sì. Poi parla l'avvocato dell'imputato e fa quella che si chiama arringa (con due “r”, da non confondersi con le aringhe che di “r” ne hanno una sola). L'arringa è un discorso in cui lui spiega tutti i motivi per cui l'imputato dovrebbe essere assolto. A dir la verità in alcuni processi ci può essere anche un altro tipo di avvocato difensore, il difensore di parte civile, che rappresenta la persona che sarebbe stata danneggiata. Anche lui fa un'arringa per chiedere al giudice la condanna dell'imputato a risarcire il danno. Comunque sia, dopo che tutti hanno parlato, compreso l'imputato se vuol dire qualcosa anche lui, il giudice si ritira in camera di consiglio con il fascicolo che contiene tutti i materiali del processo e decide.
Figlio: Quanto ci mette a decidere?
Padre: Dipende dalla difficoltà. A volte è di nuovo in aula dopo dieci minuti a leggere quello che ha deciso, altre volte ci mette ore. In alcuni casi particolarmente difficili, i giudici ci mettono giorni interi per decidere, ma si tratta dell'eccezione non della regola.
Figlio: E le cose che decidono sono giuste? Cioè riescono a capire se uno è colpevole o innocente?
Padre: A volte sì, a volte no. Non è facile capire come stanno le cose. I giudici devono basarsi su quello che dicono i testimoni e i testimoni possono mentire oppure semplicemente ricordare male o ancora possono non essere capaci di spiegarsi bene e quindi dire delle imprecisioni. Quando i fatti possono essere stabiliti tramite dei documenti scritti è più facile prendere decisioni giuste perché, come diceva Cicerone, “una lettera non arrossisce”, cioè un documento scritto può essere guardato e riguardato più volte e non cambia mai versione, a differenza delle persone.
Figlio: E che succede se il giudice sbaglia? Che si può fare?
Padre: L'imputato può rivolgersi alla Corte d'Appello perché riveda il suo caso, se ritiene di essere stato condannato ingiustamente. Come anche il Pubblico Ministero può presentare un appello contro la sentenza di assoluzione che ritenga sbagliata.
Figlio: E se anche la Corte d'Appello sbaglia?
Padre: Allora si può andare davanti alla Corte di Cassazione, che è il giudice – così si dice – di ultima istanza.
Figlio: E se anche la Corte di Cassazione sbaglia?
Padre: Mi stai parlando di un caso di scalogna pazzesca, figliolo! Comunque, bisogna dire che di solito i giudici superiori correggono molti errori fatti dai giudici inferiori. Salendo in alto si trovano giudici più esperti che sono in grado di risolvere molti problemi.
Figlio: Ma alcuni errori rimangono sempre?
Padre: Gli errori ci sono sempre e sempre ci saranno. Nelle aule di giustizia come in qualsiasi altra attività dell'uomo. Si possono limitare, diminuire, ridurre, ma non si possono evitare del tutto. Noi siamo esseri umani, non siamo perfetti e commettiamo continuamente errori su tutto. Anche i giudici sono esseri umani e, per quanto possano sforzarsi, commetteranno sicuramente errori. Questa è una verità che non piace a nessuno, ma che non possiamo evitare. E bada bene, figlio mio, che questo vale per tutti i giudici del mondo, in tutti i paesi del mondo. Ci sono sistemi giudiziari migliori e sistemi giudiziari peggiori, ma non ci sono sistemi giudiziari perfetti.
Figlio: Allora non c'è niente da fare! Siamo tutti fregati!
Padre: Io direi invece che c'è molto da fare. Vedi, a volte si usa l'espressione “la macchina della giustizia” per indicare il funzionamento dell'apparato giudiziario e tutti immaginano un'automobile, che qualcuno preme i pedali e le leve giuste e cammina da se. In realtà, la macchina della giustizia assomiglia molto di più a una bicicletta, una di quelle biciclette a due o più posti che si vedono in certi vecchi film e si muove solamente se quelli che ci sono sopra pedalano. Per aiutare il giudice a non sbagliare bisogna dargli tutte le informazioni necessarie. Nel caso del singolo cittadino, questi deve dare tutte le informazioni necessarie al suo avvocato e l'avvocato deve usarle saggiamente per consentire al giudice di vedere il suo punto di vista.
Figlio: Allora quella frase che c'è scritta in tribunale, la legge è uguale per tutti, è vera o falsa?
Padre: Dipende da che cosa si intende. Devi considerare che in precedenza la legge non prevedeva che i cittadini fossero uguali davanti alla legge. Già in partenza si sapeva che quello che diceva il povero disgraziato non poteva prevalere su quello che diceva il ricco o il potente di turno. La frase che hai citato, la legge è uguale per tutti, viene dalla Rivoluzione Francese ed il concetto era conosciuto in Italia da tanto tempo, ma solo con la Costituzione Italiana del 1947 è diventato una parte delle nostre leggi. Prima di allora, ognuno sapeva in partenza che non tutti avevano gli stessi diritti e che alcuni valevano più di altri. Per darti un'idea, nel codice di procedura penale in vigore negli anni del Fascismo, c'era un inciso per cui si diceva che il giudice nelle sue valutazioni doveva agire avendo riguardo alla qualità delle persone, cioè l'esatto contrario del dire che la legge è uguale per tutti. Attualmente tutte le leggi prevedono che le persone siano trattate con criteri di eguaglianza. In questo senso è sicuramente vero che la legge è uguale per tutti.
Figlio: E in quale senso non è vero?
Padre: Non è vero nel senso che la legge venga applicata in modo da porre tutti su un piano di eguaglianza e che certi non ricevano un trattamento migliore. Il che, tanto per intenderci, non succede solo in Italia. Succede in tutto il mondo. Per comodità ti farò l'esempio di una causa civile. Chi è più ricco può permettersi una difesa migliore con più avvocati che lavorano per lui o, più semplicemente, può pagarla per più tempo. Ammesso che perda in primo grado, può andare in appello o sino alla cassazione. Il povero ha difficoltà a pagare il suo avvocato. Ora questo in certi casi non fa nessuna differenza e gli consente di ottenere lo stesso una buona difesa, ma in altri casi in cui il lavoro è molto complesso e richiederebbe l'operato di più persone per sostenere le ragioni del povero, la cosa è messa male. Se il povero perde in primo grado, difficilmente si può permettere di andare in appello. Per non parlare del fatto che in molti casi il povero preferisce chiuderla in fretta e prendersi quello che gli offre la controparte, anche se è pochissimo, perché ha bisogno di quei soldi per vivere.
Figlio: Ma la professoressa parlava di un aiuto che si dà ai poveri che non si possono permettere un avvocato...
 Padre: (Sospirando) Ah, sì! Si chiama patrocinio a spese dello Stato. Innanzitutto lo danno solo a persone poverissime, mentre ce ne sono altre che sono ugualmente povere ma hanno un reddito superiore a quello previsto dalla legge per ottenere il beneficio e ne sono escluse. Poi, detto tra noi, pagano una miseria. Anzi... Se facciamo il caso di un processo penale per reati di una certa entità, di quelli che devi studiarti migliaia e migliaia di pagine, quello che pagano all'avvocato non copre tutto il tempo che ci vuole per svolgere il lavoro. Per cui l'avvocato si trova davanti a un dilemma terribile: o lavora gratis per molte ore per garantire a quell'imputato una buona difesa oppure si limita a fare il minimo sindacale. E qui vedi che il povero rimane svantaggiato perché dall'altra parte c'è il pubblico ministero che ha a disposizione tanti uomini e tutti i mezzi dello Stato. Ma questo discorso vale anche per una causa civile. Se il giudice dispone una consulenza da parte di un perito per stabilire qualche aspetto tecnico della causa (ad esempio se Tizio è veramente malato o se l'automobile che ha avuto l'incidente era difettosa o meno) il ricco può chiamare come perito di parte, a sostenere le sue ragioni, un prestigioso professore che il povero non si può permettere. Per cui il patrocinio a spese dello Stato risolve il problema solo se si tratta di piccole cose, che non richiedono particolari studi o indagini o se si tratta di guerre tra poveri.
Figlio: Allora è tutta una questione di soldi!
Padre: No, questo non si può dire. I soldi influenzano l'andamento delle cause, ma non sono l'unico fattore che rende la legge non uguale per tutti. C'è anche un altro problema. Alcuni giudici possono avere timore di certe persone od organizzazioni o società. Questo timore può venire dalla consapevolezza di avere a che fare con qualcuno che è molto potente, non necessariamente perché è molto ricco ma forse perché è un alto funzionario di un'amministrazione pubblica o un esponente di un certo livello di un partito politico. Nella maggior parte dei casi, quando questo succede, non è che il giudice voglia consapevolmente avvantaggiare quella persona. Ma siccome si tratta di una persona che può creare dei fastidi, istintivamente ci pensa due volte a dargli torto se non ci sono motivi veramente validi per decidere contro di lui. Poi, se l'altra parte è stata in grado di dimostrare molto bene le sue ragioni e queste ragioni sono molto buone, il giudice probabilmente gli darà ragione, ma solo se questa ragione è molto evidente. Invece quando le parti in gioco sono persone di pari livello sociale, il giudice si sente libero di ragionare al meglio della sua conoscenza e decide senza condizionamenti.
Figlio: Questo hai detto che succede nei processi civili, ma nei processi penali, la legge è uguale per tutti o no?
Padre: Nei processi penali il discorso è un altro. Sicuramente anche in un procedimento penale essere ricco e potente fa molto comodo, ma in genere il vantaggio sta nel fatto che, se le prove a carico sono flebili o non ci sono e anche gli indizi non sono molto forti, succede spesso che il potente non arrivi neanche al processo perché già al livello delle indagini preliminari si decide di archiviare tutto. Il che peraltro è anche giusto, se veramente non ci sono elementi per processarlo. Il fatto è che contemporaneamente tante altre persone, verso cui ugualmente non ci sono prove e anche gli indizi sono così così, vengono invece rinviate a giudizio senza pensarci due volte.
Figlio: Quindi la persona “in vista” viene favorita?
Padre: Io non penso che lo si faccia apposta. O meglio qualche volta potrebbe anche succedere perché statisticamente qualche volta può succedere di tutto. Però io credo che, nella maggior parte dei casi, non succeda che si voglia appositamente avvantaggiare nessuno. Semplicemente, come succede al giudice nelle cause civili, qui il magistrato del pubblico ministero sa che se fa rinviare a giudizio il potente senza ottimi motivi avrà qualche scocciatura in più, perciò anche inconsciamente gli viene di che fare più attenzione. Le cose sono controllate con più cura e gli errori vengono evitati di più. In questo senso la legge non è uguale per tutti.
Figlio: Ma allora che cosa vuol dire quello che dice il padre del mio compagno di banco, che i magistrati sono tutti comunisti e ce l'hanno con i ricchi?
Padre: I comunisti sono un partito politico che esisteva prima che tu nascessi. Nel 1991 si sono sciolti ed ora ci sono pochissime persone che si dichiarano esplicitamente comunisti. Quando ero ragazzo io, era un partito molto forte, anche se non è mai arrivato al governo. Facendola molto semplice, il comunismo era un ideale che credeva nella lotta tra ricchi e poveri per creare una società più giusta. In teoria era una bella cosa, ma nella pratica gli stati che hanno cercato di mettere in pratica il comunismo hanno creato società prive di libertà, in cui i problemi della povera gente sono sostanzialmente rimasti.
Figlio: Sì, vabbé, ma i magistrati sono o non sono comunisti?
 Padre: Adesso ci arrivo, figliolo. Mentre i comunisti praticamente non esistono più, salvo qualche movimento abbastanza piccolo, al contrario quelli che si dicono anticomunisti sono cresciuti tantissimo. Quando ero ragazzo io, un giovane ci pensava due volte prima di dirsi apertamente anticomunista, perché i comunisti menavano e come se menavano! (Anche se poi è vero che menavano pure quelli dell’altra parte!) Adesso che non sussiste più il pericolo, tutta questa gente parla con grande coraggio contro un nemico che non c'è più. Devi sapere che spesso in Italia, quando qualcuno si mette contro i personaggi più potenti, la prima cosa che gli dicono è “comunista”. Ora, ci potranno anche essere magistrati comunisti qui e la, come ci possono essere idraulici comunisti o farmacisti comunisti, ma la maggior parte dei magistrati non è per niente comunista e non ce l'ha affatto con i ricchi. Però nel momento in cui arrivano uno o più magistrati del pubblico ministero che fanno bene il loro lavoro e cominciano ad indagare sugli affari sporchi di gente ricca e potente, immediatamente gli danno del comunista e dicono che fa le cose per motivi politici.
Figlio: Quindi la legge non è uguale per tutti se sei ricco.
Padre: Diciamo che è sicuramente meno uguale se sei povero.
Figlio: E se in un processo si scontrano tra loro solo poveri, allora è uguale?
Padre: Funziona meglio. Non è mai perfetta, perché al mondo non c'è niente di perfetto, però funziona meglio. Qualche problema c'è più che altro nei processi penali se la persona offesa è un poliziotto o un carabiniere, insomma fa parte delle forze dell'ordine. Infatti, quando un poliziotto o meglio ancora più poliziotti accusano una persona di qualcosa, quello che dicono loro viene preso in considerazione più di quello che dicono gli altri testi “non poliziotti”. Il problema è che alcuni poliziotti si montano la testa e pensano di essere onnipotenti. In alcuni casi ci sono degli abusi che è veramente difficile smontare. Questo è un problema che non è solo italiano. Esiste un po' dappertutto nel mondo, ma laddove ciò che dice il poliziotto conta più di quello che dice il semplice cittadino (e, se qualcuno mette in dubbio quello che dice il poliziotto è visto anche lui come un “comunista”, un sovversivo) il problema diventa più grave.
Figlio: È un bel problema!
Padre: Sì, lo è! Ma c'è anche un altro problema per quanto riguarda il processo penale che è altrettanto grave, se non di più.
Figlio: Un altro caso in cui la legge non è uguale per tutti?
Padre: Non so se si possa dire questo. In effetti è un problema che va a toccare più o meno tutti, sia ricchi che poveri, in senso negativo. Adesso ti spiego. Ti ricordi che ti ho detto che giudici e pubblici ministeri vengono dallo stesso concorso e sono in effetti colleghi?
Figlio: Sì hai detto che sono tutti e due magistrati.
Padre: Esatto! Allora se ricordi abbiamo detto che nel processo penale il pubblico ministero accusa, l'avvocato difende e il giudice decide. Giusto?
Figlio: Giusto!

Padre: Hai mai notato che la giustizia viene rappresentata da una bilancia? Una bilancia si tiene in equilibrio se da una parte e dall'altra i pesi sono uguali. Altrimenti penderà più da una parte che dall'altra. Mi segui?
Figlio: Sì, certo!
Padre: Allora diciamo che il pubblico ministero e l'accusa la fa pendere da una parte e dall'altra l'avvocato difensore dovrebbe avere altrettanto peso. Non trovi?
Figlio: Sicuramente!
Padre: Ora questo concetto che il giudice deve essere imparziale lo si trova espresso in molti modi nelle leggi. Considera, ad esempio che in un processo civile un giudice dovrebbe astenersi da una certa causa e chiedere di essere sostituito se una delle parti è un suo “commensale abituale” ovvero se è un amico con cui si invitano a pranzo. Ora trasporta questo concetto nel processo penale: il giudice è un magistrato e giudica il processo in cui una delle parti potrebbe essere o meno un suo commensale abituale. Spesso lo è ed è anche giusto che lo sia, perché nessuno vuole che i giudici diventino dei robot che tagliano i ponti con gli amici e i colleghi. Ma è un dato di fatto che è un suo collega. Tra di loro quasi sempre si danno del tu. Dall'altra parte il difensore è un avvocato. È un professionista, non un magistrato. In Italia, a differenza che ad esempio nei paesi anglosassoni, magistrati e avvocati non si considerano colleghi più di quanto lo si considerino autisti dell'autobus e piloti d'aereo.
Figlio: Allora condannano tutti?
Padre: È ovvio che non sto dicendo quello! È chiaro che i giudici sono persone intelligenti e cercano di fare bene il loro lavoro. Quello che voglio dire è che questa situazione li mette in difficoltà. Ogni volta che assolvono qualcuno, stanno dando torto al loro collega. Per cui lo fanno sì, ma solo se sono sicurissimi che l'imputato sia innocente. Se non sono sicurissimi che è innocente tendono a condannare. Invece, secondo la Costituzione, dovrebbe essere il contrario: l'imputato è da considerarsi innocente sino a prova contraria e questa prova dovrebbe essere data oltre ogni ragionevole dubbio.
Figlio: Mamma mia! Mi prende male!
Padre: Perché, figliolo?
Figlio: Perché non c'è niente che funzioni.
Padre: Non è vero che non funziona nulla. Diciamo che non funziona come dovrebbe e ci sono tante cose da sistemare. Probabilmente alcune leggi dovrebbero essere cambiate. Ogni tanto c'è qualcuno che non fa il suo dovere, ma ce ne sono tanti altri che lo fanno. E ci sono persone che spesso lavorano anche per coprire le mancanze di quelli che non lavorano bene. Per non parlare di quelli, negli uffici giudiziari, che si trovano a coprire anche le mancanze dell'organizzazione con tanta buona volontà!
Figlio: E allora?
Padre: Allora io credo che la conclusione che possiamo fare da tutto questo discorso è che la legge è uguale per tutti se noi facciamo funzionare le cose al meglio delle nostre possibilità. Noi cittadini, voglio dire. Ci sono troppe persone che pensano solo ai fatti loro, ma se avessero più coraggio e cominciassero a interessarsi a questi problemi, anziché lasciarli solo agli avvocati e ai magistrati, qualcosa comincerebbe a muoversi. Se protestassero quando gli uffici giudiziari non funzionano bene. Non con gli impiegati, che fanno quello che possono, ma con lo Stato che non manda abbastanza soldi, in alcuni casi neanche per la carta. Se si chiedesse di fare una vera riforma della giustizia. Se si spendessero meno soldi in bombardieri e più soldi per assumere magistrati e cancellieri e per dare loro più mezzi. E per darne di più anche alla polizia per reprimere la criminalità! Se si chiedesse di cambiare il modo di fare i processi, in modo da renderli più veloci e perdere meno tempo con mille pezzi di carta inutili. Se i cittadini mostrassero un vero interesse verso queste cose e tutti quelli che ci lavorano fossero da un lato ben forniti di tutto, per lavorare bene e dall'altro sotto i riflettori della società. Beh, se facessimo tutto questo, riusciremmo a rendere la legge uguale per tutti o almeno più uguale di quanto sia ora.
Mi ero riscaldato nel dire queste cose. Mio figlio mi guardava se non con preoccupazione, perlomeno con un po' di perplessità. Mi ringraziò per la spiegazione e se ne andò pensoso. Volevo spiegargli le cose e invece ero riuscito solo a distruggere le sue poche certezze. Non so quanto sia riuscito a fargli capire come stanno le cose, ma so che quel giorno contribuii in piccola misura a fare di lui un cittadino vero, non uno dei tanti sudditi di un regime di plastica.