domenica 16 ottobre 2011

Amanda ovvero della bilancia difettosa

 
Ora che i clamori della cronaca sembrano essersi placati sull'assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito per l'assassinio di Meredith Kercher, può essere il momento migliore per alcune serene meditazioni. Diversi amici hanno sollecitato la mia opinione sul caso. Questo è abbastanza normale, anche senza alcuna pretesa di passare per sommi esperti. Se si parla di navi, si chiedono opinioni a un marinaio, se si parla di pomodori, si chiede a un contadino e se si parla di processi si chiede a un avvocato.
Personalmente seguo una semplice regola nel trattare questi argomenti, che è quella di non dare opinioni su casi di cui non abbia una conoscenza diretta o perché ho avuto la possibilità di vedere il fascicolo o, quanto meno, perché ho potuto assistere alle udienze.
Mi permetto quindi di dire subito all'affezionato lettore dei miei sproloqui che, se legge queste mie parole con l'idea di trovare il cavillo che gli farà capire tutto, temo che resterà deluso. Se posso usare un'espressione cara al mio vecchio caro professor Di Porto, provo un “fastidio epidermico” nei confronti del gossip e, per reazione, evito tutte le trasmissioni televisive che pretendono di raccontare, con plastici e con la riunione di sedicenti esperti che si parlano addosso, quello che sostanzialmente nessuno conosce su precisi accadimenti storici.
Le poche cose che conosco sul caso sono quelle che avevo precedentemente orecchiato – mio malgrado – sui notiziari radiotelevisivi. Le ho unicamente integrate con le informazioni fornite da Wikipedia, sia nell'edizione italiana (alquanto colpevolista e lo ammettono anche i redattori) che nell'edizione inglese (decisamente più innocentista), che ho ritenuto di dover consultare per pura prudenza e per un minimo di rigore nella valutazione degli elementi di base della vicenda.
Fatta questa premessa, l'unico scontato commento sul merito del caso che mi viene da fare è che la confusione regna sovrana. Se metà delle cose che ho letto sinora, sul modo in cui la vicenda è stata portata avanti dagli organi investigativi fosse vera, il caso Kercher sembrerebbe un terribile prototipo di quel modo fantasioso tipicamente italiano nel fare le cose, che non ci impedisce di fare ottimi vestiti e splendide scarpe, nonché di cucinare i piatti più buoni del mondo, ma che non è certamente da raccomandare quando la posta in gioco è la pelle delle persone.
Per il resto, lascerò completamente da parte ogni problema di merito, sul fatto che Amanda Knox e Raffaele Sollecito siano colpevoli o innocenti, per offrire qualche pensiero sull'andamento del processo, che mi sembra anche più importante per noi, di quanto non lo sia il singolo caso.

Vediamo un attimo le cose: per l'assassinio di Meredith Kercher vengono incriminate tre persone. Un cittadino italiano, Raffaele Sollecito, un cittadino ivoriano ergo un africano nero Rudy Guede e una cittadina degli Stati Uniti d'America, Amanda Knox. Due bianchi e un nero. Sembra l'incipit di una di quelle orribili barzellette a sfondo razziale, che sentivo da ragazzo nello spogliatoio della palestra scolastica.
Le accuse sono pesantissime per tutti loro e il pubblico ministero costruisce un impianto accusatorio da far spavento: orge, giochi erotici mortali, violenze sessuali. Tutti e tre sono condannati. Il cittadino ivoriano chiede il giudizio abbreviato, formula che gli garantisce uno sconto di pena, ma ne limita fortemente le possibilità difensive e viene condannato sia in primo grado che in appello. 

Gli altri due vengono assolti in appello, dopo una mobilitazione di tutti gli Stati Uniti, compresa il Segretario di Stato Hillary Clinton che non lesina parole in proposito. Per non parlare di quei pubblici personaggi americani, quali il multimilionario Donald Trump, che propongono persino il boicottaggio dei prodotti italiani, da parte degli americani per ritorsione.
Sullo sciovinismo americano si potrebbe parlare a lungo, se volessimo, ma non rientra nei limiti di questo blog trattare questo tipo di argomenti. Con gli americani in genere ci vado molto d'accordo, anche perché li rispetto, li prendo per come sono fatti e non ho la pretesa che si conformino al mio modo europeo di vedere le cose. “I bulgari sono bulgari”, diceva Trapattoni in una sua esternazione e io dico che gli americani sono americani. Se li conosci, nel bene e nel male sai quello che puoi aspettarti da loro e la loro reazione nel caso Kercher era esattamente quello che ci si poteva aspettare. 

Il problema da affrontare invece, che ci interessa molto di più, è capire se e in che misura la pressione fatta dagli Stati Uniti sull'Italia abbia realmente influenzato l'esito del processo. Ci interessa non solo ai fini della comprensione di questo singolo caso, che si avvia lentamente quanto inesorabilmente al dimenticatoio, ma soprattutto come paradigma del reale funzionamento della giustizia in questo paese.
Una corte d'assise d'appello è composta da due giudici togati (ovvero due giudici vincitori di concorso e con un contratto di lavoro a tempo indeterminato) e sei giudici popolari, i cui unici requisiti di legge per diventare tali sono che abbiano un'età dai 30 ai 65 anni, la cittadinanza italiana, il diploma di scuola media superiore e la fedina penale pulita. Questi giudici popolari non si riuniscono da soli, come accade in America e si vede comunemente nei film, per decidere sulla colpevolezza o innocenza di qualcuno, ma si riuniscono assieme ai giudici togati. Devo dire che sono alquanto scettico sulle reali possibilità di questi giudici popolari di influenzare concretamente l'esito della decisione, a dispetto del fatto che sono in maggioranza nella corte. Esiste una sostanziale moral suasion da parte dei giudici togati nei loro confronti che nasce dal fatto che – sul piano del livello culturale – si tratta di sei persone della misura del giovane Davide contro due Golia del diritto. Se i giudici togati hanno una precisa idea in testa e questa idea ha un minimo di coerenza, la possibilità che la sentenza sia diversa da quello che vogliono il presidente e il giudice a latere insieme è veramente remota.
Sarebbe interessante esplorare che succede se presidente e giudice a latere la pensano in modo opposto e qui nascerebbe un certo spazio per il dibattito, alla ricerca di una maggioranza con i giudici popolari. Invece che vi possa essere una sentenza dettata dalla volontà dei giudici popolari, che fa valere il proprio voto maggioritario nella corte, a dispetto di un'opinione radicata e opposta del presidente e del giudice a latere insieme, mi sembra un'eventualità più letteraria che concreta.
Tutto questo per dire che, in sostanza, chi ha deciso l'assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito è stato essenzialmente il presidente, al massimo con il contributo del giudice a latere. È qui che potremmo ipotizzare sia giunta e abbia fatto capo qualsiasi possibile influenza esterna.
Di quale influenza parliamo? Certamente non si può pensare a un'influenza diretta del governo, che sulla magistratura non ha praticamente alcun potere. In Italia non è seriamente ipotizzabile che il Ministro della Giustizia o altro componente del governo o chi per loro contatti il presidente della corte e gli dica quello che deve fare e di questo non potremo mai essere abbastanza grati a coloro che hanno scritto la Costituzione Italiana.
Non riesco neanche a credere che un'influenza diretta arrivi da alti esponenti della magistratura. Non ne vedo il bisogno e neanche capisco per quali meccanismi potrebbe succedere una cosa del genere. Naturalmente nella vita non si può escludere nulla, ma sinceramente non riesco proprio a immaginarmi qualcuno del CSM che dica al presidente della corte di trattare bene la Knox.
Dobbiamo quindi presumere che tutto il movimento negli Stati Uniti in favore di Amanda Knox sia stato irrilevante perché le cose sono andate come dovevano andare? È questo il punto cruciale. Io temo infatti che non sia proprio così. Penso che le proteste degli americani abbiano raggiunto un risultato, anche se in modo diverso da quello che taluni immaginano.
Per capire il senso di quello che voglio dire dobbiamo tornare all'annoso problema dei rapporti tra giudice, pubblico ministero e difesa nel processo penale.
È un rapporto purtroppo squilibrato in modo sfavorevole alla difesa, in quanto il rapporto processuale (giudice, accusa, difesa) si forma fra tre soggetti di cui due sono tra di loro in un rapporto di colleganza e certamente di molto maggiore familiarità che con il terzo.
L'avvocato si trova in una condizione in cui ha un rapporto di sostanziale soggezione verso il giudice, al quale si rivolge in modo deferente, sia per senso dello stato che perché i rapporti vengono mantenuti in una situazione di estrema lontananza dallo stesso giudice. Dall'altra parte il pubblico ministero è già un miracolo se dà del lei al giudice in udienza e di solito gli si rivolge con l'atteggiamento del collega che si sente in tutto e per tutto alla pari con lui.
Piaccia o non piaccia, questa è la situazione. Ed è una situazione che determina uno squilibrio in favore dell'accusa e contrario alla difesa. Questo squilibrio, qualunque principio possa essere indicato sui testi di legge, fa sì che vi sia una sostanziale presunzione di colpevolezza dell'imputato.

Infatti davanti al giudice l'imputato viene portato dal suo collega pubblico ministero, con cui i rapporti sono di colleganza, se non sempre di amicizia. Ogni volta che un giudice assolve un imputato anziché condannarlo, sta dicendo di no all'iniziativa del suo collega. Ovviamente se è evidente che deve assolvere lo farà; ma ogni volta che lo fa, è un piccolo vulnus nel suo rapporto con il collega e quindi il giudice assolve solo se è sicuro di dover per forza assolvere. Al contrario qualsiasi decisione prenda il giudice che scontenti l'avvocato della difesa non determina in lui alcun problema. Gli avvocati sono un genus inferiore. Si ha a che fare con loro per necessità ma non sono dei colleghi. Non li si può trattare troppo male, perché se protestano come categoria possono dare qualche fastidio, ma il singolo avvocato conta molto poco per il giudice, rispetto al collega del pubblico ministero.
Insomma, se la giustizia è una bilancia, stiamo pur tranquilli che la parte in cui si trova l'accusa è nettamente più pesante di quella della difesa dal punto di vista del giudice.
Che c'entra con tutto questo Amanda Knox? È presto detto. Sinché le cose rimangono all'interno delle aule di giustizia e poco oltre, i pesi della bilancia rimangono inalterati nei termini che ho descritto. Ma nel momento in cui di un certo processo si parla e la cosa viene risaputa, il giudice – forse senza neppure accorgersene – si trova a modificare il proprio comportamento. Non che le sue opinioni cambino di molto, ma più semplicemente si trova a fare più attenzione, a valutare le cose con maggiore cura, perché non ha più un solo condizionamento davanti ovvero quello del rapporto di colleganza col pubblico ministero, ma ne ha almeno due: da un lato il pubblico ministero e dall'altro l'opinione pubblica. Se a questo si aggiunge anche l'esistenza di precise proteste da parte di uno stato straniero (figuriamoci poi gli Stati Uniti!) abbiamo che i pesi risultano pienamente equilibrati e il giudice valuta le cose dando tutta l'importanza necessaria e opportuna sia all'accusa che alla difesa, come dovrebbe essere.

A questo punto occorre anche dire, tuttavia, che questo problema del rapporto di eccessiva vicinanza tra accusa e giudice nel processo penale è l'effetto collaterale indesiderabile del modo italiano di raggiungere il risultato dell'indipendenza della magistratura.
Ci sono paesi in cui la magistratura nel suo insieme è veramente sotto il controllo del governo e in tali paesi veramente un ministro della giustizia può alzare il telefono e chiamare il giudice per dargli disposizioni. Era così del resto anche sotto l'Italia fascista e la Germania nazista ed è proprio per evitare gli errori e gli abusi di quei tristi tempi che si è cercato un modo di evitare che la magistratura dovesse prendere ordini dal capetto di turno.
Si è quindi creato un organo di autogoverno della magistratura, cosiddetto CSM o Consiglio Superiore della Magistratura, che è per un terzo nominato dagli stessi magistrati e comunque rimane indipendente rispetto al governo. È un sistema che sinora ha retto sotto molti punti di vista. Le cose in Italia non sono mai andate molto bene, ma con un sistema diverso da questo sarebbero andate pure peggio.
Occorre quindi, a mio parere, evitare di buttare via il bambino assieme all'acqua sporca, facendo cose folli come tornare al controllo della magistratura da parte del governo.
Si parla anche di separazione delle carriere dei magistrati creando due CSM distinti, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri e indicendo concorsi differenti per diventare giudice o pubblico ministero.
Devo ammettere di essere alquanto scettico su queste soluzioni. A me sembrano solo dei palliativi e mi riprometto di parlare più diffusamente in seguito di altre possibili soluzioni.
Non posso che dedicare il mio ultimo pensiero a Rudy Guede, l'africano nero che si è preso sedici anni con sentenza definitiva. Sarà stato colpevole o innocente? Non lo so, ma so solo che nessuna pubblica opinione ha minacciato boicottaggi nel caso il suo caso non fosse trattato con attenzione e mi chiedo come sarebbe andata se fosse stato un cittadino americano pure lui.